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 2011  febbraio 22 Martedì calendario

REGINA SI DIVENTA. GRAZIE AL TAM TAM

Le vespe cartonaie, specie tutte appartenenti al genere Polistes, le troviamo frequentemente anche da noi in Italia. Il loro nome è dovuto al fatto che esse si costruiscono un nido di forma floreale il cui materiale è cellulosa, ricavata da scorie vegetali da esse triturate e ridotte in poltiglia, inumidite da una sorta di saliva e che secca rapidamente. Il nido, formato di celle esagonali, è provvisto di un picciolo con cui viene saldato a una pianta, a una tegola, a un cornicione, talora a un muretto a secco. Le aperture delle celle sono in genere rivolte obliquamente verso il basso, in modo che all’interno non possa raccogliersi acqua piovana.
Tra le tre o quattro vespe femmine che mettono su la loro piccola colonia una sola, quando il loro gruppo sociale s’è definito, ricopre definitivamente il ruolo di regina. Le altre invece divengono in vario grado subordinate. Ridotto al minimo e comunque marginale è il ruolo sociale dei maschi, i fuchi.
E’ comunque la regina l’alfa della gerarchia ed è lei che depone le uova; le altre si adattano a fare lavori da operaie. Escono spesso dal nido per raccogliere cibo o materiali da costruzione e, soprattutto, riducono sempre più la loro quota di uova deposte, fino a non deporne più. Le vespe cartonaie non ereditano il loro ruolo da regine e da operaie ma, si potrebbe dire, durante il loro stadio larvale vengono socialmente indirizzate a due differenti percorsi di sviluppo che le porteranno realizzarsi come regine oppure come operaie.
E’ proprio di questi giorni la pubblicazione, su Current Biology, di una ricerca da tutti ritenuta rivoluzionaria (se ne parla su Nature), anche perché le vespe cartonaie sono da sempre oggetto di studi. La ricerca è intitolata «A mechanical signal biases caste development in a social wasp» ed è stata realizzata da alcuni etologi del dipartimento di sociologia ambientale e delle comunità dell’Università d i Madison (Wisconsin, Usa) e cioè Sainath Suryanarayanan, John C. Hermanson e Robert L. Jeanne. Questi ricercatori hanno dedicato numerosi anni allo studio di queste vespe sociali e infine hanno fatto la straordinaria scoperta che le regine Polistes usano le loro antenne per tamburellare, in modo assai evidente e consistente, sulle pareti delle celle contenenti le larve.
Ed è attraverso questo segnale meccanico che le regine indirizzano lo sviluppo delle larve. Al di là dell’osservazione naturalistica e per fornire una verifica sperimentale a questa scoperta, decisamente inattesa, gli studiosi hanno costruito uno strumento assai sofisticato che simula lo stimolo meccanico (il suono) prodotto dalle regine della specie Polistes fuscatus e lo hanno poi indirizzato a larve naturalmente già impostate a divenire regine.
Queste, proprio in quanto indotte dallo specifico stimolo artificiale, sono invece maturate come operaie. Quando vengono deviate verso l’alternativo ruolo di operaie l’effetto che il tambureggiamento ha sulle potenziali regine consiste in un significativo decremento dei loro depositi di grasso. Effetto correlato con un fenomeno, la cosiddetta diapausa che, presente solo nelle regine, differenzia le due caste.
A conclusione occorre rilevare che in tutte le vespe del genere Polistes si era fino a ora ritenuto che la differenziazione tra quelle destinate a divenire operaie e quelle destinate invece a divenire regine dipendesse esclusivamente dalla quantità, e forse un poco anche dalla qualità, degli alimenti ricevuti nello stadio larvale. La ricerca attuale dimostra invece l’indispensabilità del tambureggiamento antennale che — come è stato rilevato— viene sempre e solo rilevato mentre ha luogo il comportamento parentale di alimentazione.
Come si vede, i meccanismi della socialità degli imenotteri e soprattutto del differenziamento delle caste risultano essere, quanto più li si studia, tanto più complessi e raffinati. E, a proposito di queste ricerche, mi è grato ricordare che il primo a descrivere l’esistenza di gerarchie delle vespe Polistes gallicus (e in generale negli invertebrati) fu uno dei fondatori dell’etologia italiana, il professor Leo Pardi dell’Università di Firenze.
Danilo Mainardi