Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  febbraio 22 Martedì calendario

LA LOGAN E IL TAM TAM FEROCE DEL WEB

Non basteranno le "articolesse" di scuse degli ultimi giorni per fermare la violenza di 140 caratteri. E ora che per colpa di un tweet è stato costretto a lasciare il posto di docente alla New York University, il blogger Nir Rosen avrà più tempo per riflettere sulla dark side di internet. Collaboratore delle riviste più progressiste d’America - New Yorker, The Nation, The Atlantic -, Rosen ha commentato su Twitter lo stupro dell’inviata della Cbs Lara Logan, avvenuto a piazza Tahrir al Cairo durante i festeggiamenti per le dimissioni di Mubarak, scrivendo che la bella e brava veterana di guerra voleva «fare meglio di Anderson», il collega Cooper della Cnn, "maschio" malmenato durante le proteste. Ha aggiunto: «Sarebbe stato divertente se fosse successo anche ad Anderson». E ancora: «Gesù, tra poco sarà celebrata come una martire, ma dovremmo ricordarci di come promuoveva la guerra in Iraq... Probabilmente sarà stata palpeggiata come migliaia di altre donne, che è sempre una cosa sbagliata».

Mentre il blogger "di sinistra" guadagnava, grazie alla sua invettiva, 1000 follower sul canale (in un articolo su Salon.com Rosen si chiede: «Cosa si aspettano di leggere? La cultura di internet è bizzarra e voyeuristica»), nel ring online di Debbie Schlussel, conservatrice nota per il suo odio contro il mondo musulmano, si leggeva: «Questo è l’Islam: Lara Logan era tra i sostenitori della rivoluzione delle "bestie" e ora sa di cosa si tratta».

Judith Matloff, sul sito della Columbia Journalism Review, argomenta che spesso le reporter donne sono vittime di abusi nelle zone di conflitto ma «non lo dichiarano quasi mai per paura di perdere il lavoro». Mentre Rachael Larimore ha dato il via su Slate alla discussione, all’ordine del giorno nei forum della destra d’Occidente, che vede l’episodio di Lara Logan come il chiaro segnale che, dopo la rivoluzione, «la situazione delle donne nei paesi arabi peggiorerà».

Se il mensile statunitense The Atlantic definisce il fango contro la giornalista la prova di una «teoria della folle convergenza destra-sinistra sullo stupro», la sempre acuta columnist del New York Times Maureen Dowd - commentando l’episodio e i migliaia di messaggi anonimi «disgustosi» sulla vicenda - se la prende con internet, colpevole di essere diventata lo sfogatoio degli istinti peggiori degli esseri umani. Inserendosi tra le fila di chi critica da tempo l’apparente democrazia partecipativa prodotta dalla rete (dai guru Jaron Lanier ed Evgeny Morozov fino al dibattito avviato su queste pagine lo scorso anno con lo speciale www.verità), Dowd cita Nicholas Carr, autore di «The Shallows: What the Internet Is Doing to Our Brains», secondo cui la rete starebbe modificando in senso negativo i neuroni del nostro cervello.

Niente di più vero se, online, anche un opinionista autorevole come Nir Rosen fa prevalere le stesse logiche "di pancia" di un anonimo commentatore.

Nel debole tentativo di giustificarsi, Rosen ha scritto: «Twitter non è un posto per le sfumature: per questo sarei dovuto restare fedele al giornalismo di tante parole. Da questa storia arriva forse una lezione importante sui social network: la velocità è un mezzo potente per connettere le persone, ma è anche una responsabilità visto che qualsiasi cosa dici acquista potere. Così, uno scherzo offensivo diventa un manifesto ideologico e l’umorismo macabro viene presto utilizzato per giustificare una violenza sessuale», ha concluso.

La pagina Facebook di Lara Logan è ferma all’8 febbraio del 2010. Una settimana prima dello stupro. Ci sono centinaia di commenti di solidarietà per quanto è accaduto ma nessuna reazione o risposta da parte del suo staff. C’è un messaggio della giornalista di qualche giorno prima: «Per la sicurezza dei miei colleghi al Cairo, non risponderò a domande dei media». Alla sua sicurezza evidentemente ci hanno pensato in pochi, quella di internet è ancora tutta da costruire.