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 2011  febbraio 22 Martedì calendario

Atlantide e altri non-luoghi Alla ricerca del mito perduto - Il 26 dicembre 2004 sul fondo dell’Oceano india­no, a 200 km a Ovest di Sumatra, la Placca india­na all’improvviso scivo­lava rapidamente sotto la Placca birmana spingendola verso l’alto di cinque metri e spo­stando l’isola indonesiana ver­so Est di una ventina di metri

Atlantide e altri non-luoghi Alla ricerca del mito perduto - Il 26 dicembre 2004 sul fondo dell’Oceano india­no, a 200 km a Ovest di Sumatra, la Placca india­na all’improvviso scivo­lava rapidamente sotto la Placca birmana spingendola verso l’alto di cinque metri e spo­stando l’isola indonesiana ver­so Est di una ventina di metri. Il risultato di questo terremoto sottomarino di magnitudo 9,3 e di 8,5 gradi della Scala Richter e del successivo spostamento del­la massa d’acqua superiore, era un’onda anomala che si propa­gava alla velocità di 850 chilome­tri l’ora per tutto l’Oceano India­no raggiungendo con uno tsuna­mi dai dieci ai trenta metri di al­tezza a oriente le coste di Indo­nesia, Malaysia, Thailandia, Myanmar, Bangladesh, e ad oc­cidente quelle di Sri Lanka, In­dia e Maldive, sommergendo tutte le piccole isole che si trova­va davanti. Coste devastate, iso­le sommerse, intere popolazio­ni scomparse su quelle più pic­cole, danni incalcolabili. I morti e i dispersi accertati hanno supe­rato i trecentomila, anche se una cifra esatta non si saprà mai. Il maggior disastro del­l’epoca moderna. Se tutto questo è avvenuto nel XXI secolo, perché non potreb­be essere avvenuto anche 9mila anni prima di Platone che ci rac­conta nel Timeo e nel Crizia co­me nel corso di «una notte tre­menda » terremoti e maremoti sommersero l’isola di Atlantide che sprofondò nell’oceano? Questo solo per dire che dal pun­to di vista «scientifico» la storia che ci racconta il filosofo greco può non essere considerata una fandonia agli occhi dei «moder­ni ». Il fatto è che, esistito o meno nella realtà il regno di Atlantide, esso servì a Platone per lanciare nel tempo il suo mythos, la sua fabula, che contiene degli inse­gnamenti in positivo e in negati­vo: al tempo stesso la sua «uto­pia » e la sua «antiutopia», de­scrivendoci una società perfet­ta di discendenza divina che di­venta arrogante ed «empia» nel momento in cui dimentica o per­de, appunto, quella «scintilla di­vina » che aveva dentro di sé. Un mito così affascinante che nell’arco di due millenni e mez­zo è giunto sino a noi, un mito a cui molti hanno creduto e che si è andato arricchendo e amplian­do a seconda del periodo stori­co in cui venne accolto. Di tutta questa affascinante storia ci par­la Davide Bigalli, che insegna storia della filosofia all’Universi­tà di Milano ne Il mito della ter­ra perduta (Bevivino, pagg. 226, euro 20) che segue passo passo il tema dalle origini ai nostri giorni. Il professor Bigalli scrive dun­que che Atlantide «appartiene al mondo del pensiero», è «un consapevole mythos, volto a de­lineare, in una remota antichi­tà, modelli di civiltà, dove le co­struzioni politiche, a misura che si distaccano dall’immagi­ne ideale, corrono a catastrofe divenendo esemplari di una contro utopia». Nello stesso tempo, l’autore fa notare, credo per primo, come questo mito, quando su quella ideale/filoso­fica/ simbolica prevale la parte della narrazione, del racconto, della elaborazione fantastica (del resto il termine greco mythos proprio questo vuol di­re) «diventa una esemplare non­luogo, il regno di una alterità che non può rinchiudersi né ve­nire raggiunta per entro i termi­ni di realismo geografico. Diven­ta un altro mondo». Ecco perché nel corso dei seco­li ha appassionato anche esplo­ratori, avventurieri, geografi, personaggi folli e bizzarri che ne sono andati concretamente alla ricerca tentando di localiz­zare Atlantide qui e la, in quasi tutte le parti del mondo. E per­ché il suo archetipo abbia dato vita ad altre «terre perdute» di cui sempre parla Bigalli: Mu e Lemuria, ad esempio, ma anche Agartha e Shamballah, forse an­che l’Eldorado, e addirittura la fantastica teoria ottocentesca della Terra Cava. Un libro denso, zeppo di riferi­menti e di citazioni tratte dai te­sti più singolari e sconosciuti che ci dimostra come anche di miti viva il genere umano, ancor­ché sempre più dotto e scettico. È sufficiente che questo mito da pura idea filosofica esemplare sia trasformato in riferimento storico-geografico, come in ef­fetti è avvenuto.