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 2011  febbraio 22 Martedì calendario

LA CRISI LIBICA FA VOLARE IL PETROLIO

Per il momento mancano ufficialmente all’appello non più di 100mila barili di petrolio libico: sono il calo di produzione annunciato dalla tedesca Wintershall, del gruppo Basf, che per prudenza ha deciso di rimpatriare 130 dipendenti, rallentando l’attività nei giacimenti. Le altre compagnie petrolifere – tra cui Eni, Total, Bp, Shell e Repsol – assicurano di aver richiamato soltanto il personale non indispensabile e che nonostante tutto le operazioni produttive procedono a ritmi normali.

Ai mercati, abituati a giocare d’anticipo, il conto dei barili interessa tuttavia solo fino a un certo punto. E la violenza che dilaga nel paese nordafricano è tale da evocare gli scenari peggiori per gli approvvigionamenti di petrolio e gas. La reazione non si è quindi fatta attendere: con i volumi di scambio assottigliati dall’assenza degli operatori statunitensi (negli Usa si festeggiava il President’s Day), il greggio europeo Brent ha chiuso in rialzo del 3,1% a 105,74 dollari al barile, massimo da luglio 2008, per poi continuare a correre nel dopo borsa, oltre quota 108 dollari. Il Wti, riferimento americano, ha intanto registrato il progresso più forte, in una sola seduta, da almeno due anni a questa parte: con un rialzo di oltre il 6% ha superato 91 dollari al barile. Il nervosismo degli investitori è rispecchiato anche dalla corsa verso il bene rifugio per eccellenza, l’oro, che ha superato 1.400 dollari l’oncia per la prima volta dall’inizio di gennaio, trainando argento e palladio verso nuovi record, rispettivamente da 31 e da 10 anni.

Con riserve per 44 miliardi di barili, la Libia è il paese africano che vanta le maggiori ricchezze petrolifere. La sua produzione giornaliera, 1,6 milioni di barili, quasi tutti esportati sui mercati europei, la rendono un fornitore al quale non sarebbe facile rinunciare. Senza dubbio l’Opec, di cui Tripoli fa parte dal 1962, ne è consapevole. L’Organizzazione tuttavia, stando alle più recenti dichiarazioni, ha per ora escluso la possibilità di un vertice per esaminare le possibili ricadute della crisi, anche se incontri informali potrebbero esserci, dietro le quinte, a Riad, in Arabia Saudita, dove molti ministri oggi parteciperanno all’International Energy Forum. Il principe saudita Abdulaziz bin Salman Al-Saud, viceministro del Petrolio, si è limitato a ribadire che il regno wahabita preferisce che il prezzo del petrolio resti in una fascia tra 70 e 80 $/barile. Più «generose» le affermazioni del ministro del Petrolio degli Emirati arabi uniti, Mohammed al Hamli: «Stiamo osservando il mercato. Vogliamo essere sicuri che non sia troppo disturbato da quello che sta accadendo. In caso di bisogno siamo pronti a fornire più greggio».

Il momento dell’emergenza rischia di arrivare presto. Di fronte alle telecamere di Al Jazeera, il capo della tribù Al-Zuwayya – una delle più potenti nell’est della Libia, sede dei maggiori giacimenti del paese – ha minacciato di tagliare le esportazioni se entro ieri sera il colonnello Gheddafi non avesse posto fine alle violenze.

Fino a ieri sera mancavano notizie certe di attacchi a installazioni petrolifere. L’agenzia France Presse riportava però le affermazioni di un anonimo ufficiale di sicurezza, secondo cui sei persone sarebbero state arrestate per aver tentato di incendiare i pozzi di petrolio di Sarir, a sud della capitale. Per Al Jazeera il giacimento Nafoora, nel bacino della Sirte, sarebbe fermo per uno sciopero. Un gruppo di lavoratori, riferisce il giornale online Quryna, starebbe invece difendendo dai dimostranti il terminal petrolifero di Ras Lanuf, dove tra l’altro ha sede la maggiore raffineria del paese.