ALBERTO SIMONI, La Stampa 22/2/2011, pagina 17, 22 febbraio 2011
Caccia alla bimba albina “Mi vogliono mangiare le ossa” - Mi vogliono mangiare le ossa, mi vogliono mangiare le ossa»
Caccia alla bimba albina “Mi vogliono mangiare le ossa” - Mi vogliono mangiare le ossa, mi vogliono mangiare le ossa». Letizia ha cinque anni e il suo urlo, quella frase all’apparenza sconclusionata gridata in faccia a padre Paolo, non è il frutto di un’allucinazione. Non è un incubo notturno, un soprassalto di angoscia infantile. Letizia sa di cosa parla. Sa che «mangiare le ossa» anche nel linguaggio diretto, senza fronzoli, crudo dei bambini significa proprio quello. Ha visto, capito, le hanno raccontato che le bimbe come lei devono sfidare credenze, superstizioni, magie per sopravvivere in quest’angolo di mondo affacciato sull’equatore. Letizia è albina, è nata nel Nord Kivu, martoriata regione del Congo nordorientale, guerriglia e catastrofi naturali, predoni e bande di criminali che sconfinano dal vicino Ruanda o dall’Uganda. Zona dal sottosuolo generoso, ricca d’acqua e catalizzatrice delle brame degli altri. Alla gente, poverissima, però basterebbero una zappa e un pezzo di terra per sentirsi in paradiso. Essere albina, quella la sua condanna. O la sua colpa se nel mondo in cui sei capitata si idolatrano le superstizioni e alle forze soprannaturali o ai demoni si attribuisce chissà quale importanza nel far girare il cerchio della vita. Gli albini portano male - è il ritornello - ma le loro ossa, sgretolate, sminuzzate, ridotte a sabbia e mescolate in intrugli magici, no. Negli ultimi tre mesi una sua cugina - segnata dalla stessa sorte di essere «diversa» - è stata rapita. Sparita per sempre. La macabra tradizione - coltivata probabilmente da pochi adepti ma assai motivati - vuole che dalle ossa degli albini si estragga chissà quale sostanza, si faccia chissà quale pozione miracolosa. E così gli albini - la cui percentuale fra la popolazione mondiale (e non vi sono sospetti che il Congo sia diverso in questo) è di circa 1 su 20 mila - sono merce rara. E come tale preziosa. La cugina dunque è sparita qualche mese fa. E analogo destino è capitato a una sedicenne sepolta nel cimitero del suo villaggio nella zona di Goma. Ne hanno trafugato la salma, l’hanno portata via per ridurne le ossa rinsecchite in poltiglia. Letizia è già sfuggita tre volte al rapimento. L’irruzione di alcuni uomini in casa nel villaggio dove abita è stata sventata dalle urla della madre e dall’aiuto dei vicini. Poi la fuga a Nyamilima, nella missione di padre Paolo, caracciolino, ordine dei chierici regolari minori, da oltre 25 anni missionario nel cuore dell’Africa. È a lui che Letizia chiede protezione: «Padiri (padre in lingua swahili, ndr) mi vogliono mangiare le ossa». La madre ha il volto tumefatto, i segni della lotta per strappare la figlia a morte certa. Così Letizia viene ospitata a Nyamilina, dove i caracciolini hanno una missione. Ma anche quello si rivela un nascondiglio fragile. La terza aggressione - siamo a fine gennaio - finisce, fortunatamente, come le altre, gli strilli della madre la sua difesa arcigna e disperata della vita della figlia mettono in fuga i sequestratori. Che però giurano che quella bambina un giorno sarà loro. Così il giorno dopo Letizia viene condotta nell’orfanotrofio a 150 chilometri da Goma. Sta insieme ad altri 40 bambini - non albini - vita «normale», scuola, compiti, giochi. Padre Paolo raggiunto al telefono nella sua missione è avaro di dettagli: «Non dirò dove si trova Letizia, è in pericolo. Voglio solo che qualcuno ci aiuti per portarla fuori dal Paese, che l’adotti». C’è un video su YouTube, «La storia di Letizia». «Lo sapevo - si lascia andare - che in Africa, in qualche posto c’erano stati casi di violenza contro gli albini, so della Nigeria, del Burundi, ma qui, prima degli ultimi 3 mesi non avevo mai assistito a nulla del genere». Se ha qualche sospetto, padre Paolo lo nasconde bene. Non si sbottona. «Non so chi sia a fare queste cose». Non di certo la gente del villaggio, non i ruandesi. Anche la polizia brancola nel buio. «Forse sono ugandesi», spiega uno dei volontari, Vittorio Ravanesi dell’associazione «Progetto incontro» da poco tornato da Goma e testimone indiretto della vicenda di Letizia. Ipotesi. Il Nord Kivu è zona di guerriglia, Nyamilima è tornata sotto il precario controllo congolese da appena 5 anni, gang di guerriglieri e di sbandati ancora si contendono fette di territorio. E qualcuno vorrebbe «mangiare le ossa» di Letizia.