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 2011  febbraio 22 Martedì calendario

DA PISANU A D’ALEMA. QUEI POLITICI IN FILA NELLA TENDA BEDUINA

Ridacchia amaro, ingollando d’un fiato delusioni, rabbia e nicotina: «Va bene, è vero: io potrei essere una... vedova di Gheddafi, se vogliamo usare politicamente quest’immagine. Ma non mi ci sento ancora, vedova» . Ci ha creduto molto e per molti motivi, Valentino Parlato. Da «tripolino» ha sempre rimproverato alla sinistra di essersi fatta soffiare il raìs da Berlusconi, con tanto di trattato d’amicizia: «Avevano avviato tutto loro, con D’Alema, si può essere così scemi?» . E dire che la prima passionaccia del Colonnello era Prodi: «Chiaro, serio e interessato al Mediterraneo» confidò a Ilaria D’Amico per SkyTg24, sospettando chissà perché che il Cavaliere, di certo un buon amico pure lui, fosse «più portato per le barzellette» . Anche adesso, che l’amicizia s’è fatta più che mai imbarazzante e rischia d’essere sepolta dalle macerie del regime e dalla diretta dell’orrore nei siti Internet, Valentino non arretra: «Lo intervistai nel ’ 98. L’uomo è colto, ama Rousseau e Dickens, conosce Aristotele» . Vallo a spiegare a chi si scanna sulla Piazza Verde. Non sono passati ancora sei mesi. Alla cena ufficiale dell’ultima visita romana, con Silvio chansonnier d’eccezione, il cartoncino d’invito recitava «Muammar El Gheddafi, leader della Rivoluzione» (con la erre maiuscola). Lui, ancora lontano dalla rivoluzione di popolo che sta disarcionandolo in queste ore, passeggiava per Campo’ de Fiori sorseggiando aranciata e mieteva applausi prima di godersi addirittura un carosello dei carabinieri. E Altero Matteoli annunciava che almeno venti aziende italiane erano già in fila per costruire la grande autostrada che avrebbe compensato il dittatore delle nostre nefandezze passate. Puro understatement: l’elenco delle imprese con interessi da quelle parti— Eni e Finmeccanica in testa — è lungo come un volume delle Pagine gialle; perfino il Comune di Milano ha coltivato con la Moratti il sogno ambizioso di sbarcare con la Triennale sul lungomare di Tripoli. Se esiste un partito gheddafiano de noantri è difficile trovare qualcuno che non ne abbia preso la tessera, almeno per un giorno, salvo seppellire tutto tra distinguo e precisazioni, magari il giorno dopo. «Quell’uno sono io» , giura Gianni De Michelis. Ma come? Proprio il luogotenente di Bettino? Il ministro degli Esteri di colui che mise sull’avviso il raìs prima dell’attacco degli americani nell’ 86? «Che c’entra? Quella volta gli americani avevano torto, usavano una logica da Far West. Ma io sono l’unico della Prima e della Seconda Repubblica, di destra e di sinistra, che non l’ha mai incontrato. Una volta che mi ci mandarono Craxi e Andreotti, partii controvoglia, quello mi fece aspettare quarantotto ore: me ne andai. Negli ossequi al dittatore ho sempre visto molto provincialismo» . Veramente l’ultima volta c’era anche lei a omaggiarlo all’ambasciata libica... «Eh! Quando uno non conta più nulla può permettersi tutto» . Come finirà? «Rischiamo tutti di pagare il conto» . «Gheddafi è come il Nilo che sale al mare» , salmodiava il cerimoniale il 7 ottobre 2008, alla consegna delle benemerenze della Jamahiriya, a Tripoli. In prima fila, ospite d’onore, Giulio Andreotti, e a seguire Lamberto Dini, Beppe Pisanu, Vittorio Sgarbi, Nicola Latorre (in rappresentanza di D’Alema): una fascia verde per ciascuno in una foto di gruppo mai sbiadita davvero. Il trattato con Berlusconi era stato firmato il 30 agosto, a tutti toccava l’appellativo di «eccellenza» , a Gianni Letta quello di «sua altezza» . Qualche anno prima Andreotti raccontava confidenze del Colonnello di questo tenore: «Questi giovani estremisti islamici mi sembravano bravi ragazzi e gli ho concesso spazi e potere. Poi ho cominciato a sentire discorsi del tipo "prima o poi ci riprenderemo l’Andalusia"e ho capito che era meglio toglierglieli» . In queste ore il senatore a vita fa sapere di essere «molto preoccupato per gli italiani che lavorano laggiù» . Dedica un pensiero alla sua «buona intesa» col raìs, uno ai «diritti umani del suo popolo» : stringerlo in un angolo, nonostante gli anni e gli acciacchi, è come al solito impossibile. Sgarbi, che con ispirazione dannunziana violò l’embargo nel ’ 98, partendo in aereo dalla Sardegna assieme a Nichi Grauso per atterrare sotto il naso di un Gheddafi ancora alquanto offuscato dagli strascichi della strage di Lockerbie, ha poi spiegato così l’intesa con Andreotti e gli altri: «Gheddafi è l’unico democristiano del mondo arabo, perciò s’intendono» . Ora lo immagina «alla guida d’una banda, di un gruppo, per recuperare il potere» : «non dico che siamo amici, ma insomma... lui fu colpito dal fatto che due cristiani, io e Grauso, violassimo l’embargo, cosa che per lui non avevano fatto i musulmani» . Dini è per la «non interferenza» negli affari di Tripoli: realpolitik a oltranza, anche oggi, nel giorno più lungo. «Amici di Gheddafi? Beh, c’era vicinanza, nel senso di rapporti politici, già dal ’ 98 con Prodi e con D’Alema. Disdicevole che l’opposizione attribuisca ora al governo Berlusconi la responsabilità di ciò che è successo in Libia. E allora con la Cina che cosa dovremmo fare?» . Nel 2009 la tenda piantata in mezzo a Villa Pamphili diventò una metafora del trasversalismo beduino. A ricucire lo strappo di Fini, che esasperato dai ritardi del raìs aveva fatto saltare l’incontro in pompa magna con lui, si precipitarono nell’accampamento D’Alema e Pisanu, trasformandosi poi in illustri portavoce: «Gheddafi ha fatto sapere che non stava bene... ha chiesto scusa» . Il trasporto del Colonnello per l’ex discepolo di Zaccagnini è ben precedente all’afflato col «caro Silvio» . C’è stato un tempo in cui Gheddafi voleva trattare solo con Pisanu, allora ministro dell’Interno. E in cui Pisanu coglieva nelle analisi di Gheddafi sulle tre grandi religioni monoteiste accenti non troppo lontani da quelli di La Pira, nientemeno. Ragioni del cuore o ragion di Stato? Difficile dirlo in un Paese che sa farsi piacere ciò che gli è utile, almeno finché il sangue non ne sommerge gli opportunismi. Nel libro sul primo viaggio italiano di Gheddafi, edito dall’andreottiano mensile Trenta Giorni assieme all’ambasciata di Tripoli, accanto ai pensosi discorsi di Muammar sono trascritte domande dei nostri imprenditori anche di questo tipo: «Salve, mi occupo di impianti per la macellazione delle carni: a chi della vostra delegazione potrei lasciare una brochure?» . I soliti italiani furbacchioni, niente di male: fino a ieri ci si poteva persino sorridere su.