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 2011  febbraio 22 Martedì calendario

IL POSTINO SUONERÀ SEMPRE DUE VOLTE. ALLA SETTIMANA

Avevano promesso che per la posta il 2011 sarebbe stato l’anno della svolta. Sono stati di parola. Solo che invece dell’annunciata liberalizzazione del servizio, ci stanno servendo l’opposto. In questi mesi sta davvero cambiando tutto, però quasi mai in meglio, almeno se si considera la faccenda dal punto di vista dei cittadini clienti. Per esempio finisce il servizio universale così come l’avevamo conosciuto per decenni, cioè la consegna di corrispondenza e giornali a tutti, tutti i giorni dell’anno escluse le feste, in tutti i luoghi del paese compresi i più sperduti. E finisce per effetto di una scelta del governo: il servizio viene di fatto riconsegnato per i prossimi 15 anni alle Poste alle quali viene allo stesso tempo consentito di svuotarlo come un guscio di noce. Non è un affare da poco perché il servizio universale era un pezzo del welfare, da tutti considerato una conquista di civiltà e uno dei tratti della modernità. Quel che è peggio è che viene messo da parte quasi alla chetichella, con due commi, il 7 e l’8 dell’articolo 2 del contratto di programma firmato dal ministro per lo Sviluppo economico, Paolo Romani, e dall’amministratore delle Poste, Massimo Sarmi. Un documento siglato tre mesi fa, ma rimasto praticamente sconosciuto fino ad oggi. Con ventisei righe vengono cancellati decenni; perfino durante le guerre, lo Stato italiano, pur tra lutti e distruzioni, fece di tutto per assicurare la consegna quotidiana delle lettere. Il testo del nuovo contratto deve essere approvato dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), ma si tratta di un passaggio considerato poco più che formale. Dice il nuovo accordo postale: «Il recapito del servizio universale può essere effettuato a giorni alterni in presenza di particolari situazioni di natura infrastrutturale o geografica in ambiti territoriali con una densità inferiore a 200 abitanti per chilometro quadrato e comunque fino ad un massimo di un ottavo della popolazione nazionale». Lettere e giornali in pratica potranno essere consegnati un giorno sì e uno no, al massimo tre giorni alla settimana in tutto, considerando che le Poste avevano già cancellato alcuni mesi fa il servizio del sabato con una decisione che fu il primo strappo vistoso all’organizzazione del servizio universale.
Otto milioni
di clienti di serie B
IL NUOVO REGIME postale a giorni alterni riguarda potenzialmente 7 milioni e mezzo di persone circa, con un «margine di tolleranza fino ad un massimo del 5 per cento», cioè poco meno di 8 milioni in tutto. Secondo l’interpretazione e i calcoli elaborati dalla Cgildelsettorecomunicazioni,però,il totale della popolazione toccata dal taglio sarebbe addirittura di 10 milioni di cittadini su un territorio di circa 5 mila comuni. Gli italiani sono divisi in due categorie dal punto di vista postale, serie A e serie B, nonostante tutti quanti contribuiscano con le tasse al finanziamento del servizio. Nell’area meglio servita, dove la posta continuerà ad essere consegnata ogni giorno, si trovano gli abitanti dei grandi centri e delle aree più popolate del paese. Nella zona retrocessa sono inseriti i piccoli comuni e i luoghi con minore densità abitativa.
All’azienda postale il governo consente, in pratica, di portare alle estreme conseguenze la strategia di mutazione genetica radicale del proprio ruolo già avviata da tempo: non più società con la posta al centro della propria ragione sociale, ma gruppo sempre più concentrato su credito e assicurazioni, settori che con le lettere hanno poco o punto a che spartire, ma che assicurano notevoli profitti. Un business che l’azienda persegue facendo leva su un’arma concorrenziale potentissima rispetto alle banche e alle assicurazioni classiche, e cioè la rete dei 14 mila sportelli (contro poco più di 20 mila di tutte le banche). Un network eccezionale,unpatrimoniocollettivopagatoa suo tempo dai cittadini con la fiscalità generale, cioè con le tasse, voluto non per business estranei alla posta, ma soprattutto a sostegno del servizio universale.
Con il nuovo contratto di programma, invece,ancheglisportellisonoinvestiti dal nuovo vento di business, potenziati quelli più centrali e funzionali agli affari finanziari e ridimensionati gli altri. Circa un migliaio di uffici periferici e marginali apriranno un giorno sì ed uno no e se i comuni vorranno aperture più lunghe dovranno pagarsele, facendosi carico dei costi relativi. Considerato lo stato di molti enti locali, l’opportunità concessa sembra quasi una presa in giro.
Mentre il servizio universale viene svuotato, il governo con il decreto MilleproprogheconcedeallePostelapossibilitàdientrarenelcapitaledellebanche, separando da un punto di vista contabile il Bancoposta dal resto del gruppo. Grazie a questa innovazione, le Poste compreranno sborsando 136 milioni di euro il Mediocredito centrale che costituirà il pezzo forte di quella Banca del Sud voluta con tenacia dal ministro dell’Economia, Giulio Tre-monti. In cambio l’amministratore delegato Massimo Sarmi il prossimo aprile riuscirà probabilmente ad ottenere la quarta nomina consecutiva alla guida delle Poste.
Il nuovo corso produrrà effetti pesanti anche sugli organici postali. Alla Cgil in particolare sono molto allarmati. Il 27 luglio dell’anno passato i sindacati avevano firmato un’intesa con l’amministratore che prevedeva un taglio di 6 mila dipendenti come inevitabile conseguenzadellariduzioneda6a5giorni alla settimana della consegna di lettere e giornali, mentre il servizio del sabato era stato affidato a ditte private, più o meno organizzate ed efficienti, con il sistema che in gergo viene definito degli «appalti accollatari». Con la nuova riduzione del servizio prevista dal contratto di programma ora ballano altri 4 mila posti.
I conti delle Poste
che non tornano
DICONO CHE I TAGLI erano necessari perché il servizio universale costa troppo e Stato e Poste non ce la fanno più. Da anni le Poste sostengono che per portare la corrispondenza a tutti spendono circa 700 milioni di euro all’anno ricevendo in cambio di questo impegno dallo Stato solo la metà(372milioninel2009).Nessuno,però, è mai riuscito ad appurare l’esattezza dei calcoli, anzi ci sono diversi esperti che li ritengono poco attendibili. Il Copenhagen Economics, per esempio, ha stimato di recente che il costo vero del servizio postale universale italiano è di 175 milioni di euro. Ci vorrebbe un’autorità terza per mettere un punto fermo. La direttiva europea sulle poste la prevede, ma il governo italiano fa finta di niente. Prima di Natale il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto legislativo per la costituzione non di un’autorità indipendente, ma di una semplice agenzia governativa. Qualche giorno dopo l’Antitrust di Antonio Catricalà in una lettera molto severa indirizzata ai presidenti delle Camere e al governo ha parlato di «centrale criticità» del provvedimento che di fatto va contro «il processo di liberalizzazione».
Lo stesso Catricalà nel corso di un’audizione alcuni giorni fa davanti ai parlamentari della commissione comunicazioni ha ricordato che la costituzione di un’autorità indipendente per la regolazione del servizio postale non è una scelta lasciata alla discrezione di ciascun paese europeo, ma un obbligo imposto dalla Comunità con una direttiva precisa. Dalla Germania alla Francia alla Gran Bretagna, tutti i grandi paesi hanno infatti provveduto, compresa la Spagna che è stata l’ultima facendo entrare in funzione nel luglio dell’anno passato la Comision nacional delsectorpostalistituitatreanniprima.Il denominatore comune di queste autorità è che sono tutte indipendenti dal governo e distinte dai ministeri competenti, anche in quei paesi come la Germania nei quali lo Stato non ha più la proprietà piena dell’operatore postale. L’Italia resta l’unico paese che continuaasottrarsialladirettivacomunitaria.