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 2011  gennaio 20 Giovedì calendario

GLI ARGONAUTI VIVONO ANCORA A TREBISONDA. E PARLANO GRECO

NON sono scomparsi Giasone e gli Argonauti, i protagonisti dell’incredibile viaggio alla ricerca del vello d’oro tra la Tessaglia e la Colchide, gli artisti e gli eroi trasportati dalle musiche di Orfeo e illuminati da due stelle gemelle, i dioscuri Castore e Polluce. Non sono scomparsi perchè i loro discendenti vivono ancora in una vallata dell’antico Ponto. E parlano, e cantano, un greco più puro di quello moderno.
Secondo gli studiosi di lingue antiche, infatti, in un piccolo gruppo di villaggi abitato da cinquemila persone a poca distanza dalla città di Trabzon, l’antica Trebisonda, in Turchia, vivrebbero i discendenti di Giasone e degli Argonauti. Una teoria affascinante che si può capire soltanto dopo aver ricordato il mito in cui si parla di Giasone, giovane erede al trono della città di Iolco, il quale viene educato dal saggio centauro Chirone. Divenuto adulto, Giasone torna al suo paese reclamando il potere. Lo zio e reggente, Pelia, si impegna a restituirglelo dopo che gli avrà portato il vello d’oro consacrato ad Ares (Marte), che è custodito nella lontana Colchide (oggi Georgia) da un drago. Giasone chiede allora aiuto ad Argo, il quale costruisce la nave che dovrà trasportare l’eroe e i suoi compagni in quelle terre lontane. Partecipano alla spedizione anche il musico Orfeo, che doveva dare il tempo ai rematori e opporsi al canto ammaliatore delle Sirene, numerosi indovini e Castore e Polluce, i dioscuri a cui Zeus concesse di vivere per sempre in cielo come costellazione dei Gemelli. Giunto a destinazione, Giasone riceve aiuto da Medea, figlia del re della Colchide. I due si innamorano. E una volta recuperato il manto d’oro iniziano un rocambolesco viaggio di ritorno in patria.
La novità è che forse non tutti sono tornati. Secondo Ioanna Sitaridou, docente di filologia romanza presso l’università di Cambridge, il dialetto parlato da una piccola comunità del nord-est della Turchia, nella zona che greci e romani chiamavano Ponto, ha più affinità con il greco arcaico di quanto non ne abbiano i più antichi dialetti parlati oggi in Grecia. «Il Romeyka conserva un numero sorprendente di caratteristiche grammaticali simili a quelle della lingua di Socrate e Platone», ha rivelato la studiosa al quotidiano The Indipendent.
A preservare il Romeyka per così tanti secoli sarà stato senz’altro il profondo isolamento della comunità che lo parla, nonchè l’abitudine di contrarre matrimoni solo all’interno dello stesso gruppo fonetico. Ma non è solo questo. Gli studiosi hanno infatti anche scoperto che le canzoni in dialetto vengono accompagnate dalla kemenje, uno strumento musicale che ricorda l’antica lyra greca e che forse, nelle notti stellate, regala ancora oggi agli Argonauti il ricordo struggente delle musiche di Orfeo.