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 2011  febbraio 21 Lunedì calendario

I «boia chi molla» di Reggio Calabria? Stranieri in patria - La mattina del 18 febbraio del 1971 una colonna di carri armati e mezzi blindati entrava nel quartiere Santa Caterina di Reggio Calabria

I «boia chi molla» di Reggio Calabria? Stranieri in patria - La mattina del 18 febbraio del 1971 una colonna di carri armati e mezzi blindati entrava nel quartiere Santa Caterina di Reggio Calabria. La scena evocava l’invasione sovietica di Praga o i golpe sudamerica­ni. È l’atto finale della cosiddetta «rivolta di Reggio Calabria», la sommossa popolare iniziata il 14 luglio del 1970,l’unica ve­ra rivolta popolare della storia dell’Italia repubblicana. Sette mesi in cui la città calabrese era stata teatro quotidiano di scontri, barricate, bombe, tritolo, incendi e attentati. L’Italia di quegli anni ha già conosciuto la tragedia di piazza Fontana, a Milano, ma non è ancora entrata nel tunnel degli «anni di piombo». A scatenare Reggio in quella che verrà definita «la rivolta dei boia chi molla» è la decisione presa a Roma di assegnare a Catanzaro il titolo di capoluogo regionale, uno schiaffo per i reggini i quali, non senza fondati motivi storici e geografici, ritengono la propria città la più rappresentativa e attrezzata della Regione. La città sullo Stretto paga lo scarso peso politi­co fra le correnti democristiane e socialiste che si dividono gli strapuntini del potere. Uno scippo, anche perché sin dalla na­scita dello Stato unitario tutti i documenti ufficiali indicano Reggio Calabria quale capoluogo. La questione del capoluo­go non era solo «pennacchio», come scrissero in molti, per­ché in un Sud che viveva di burocrazia amministrativa il ruolo di capoluogo significava convenienze economiche e posti di lavoro.«Una sollevazione popolare urbana,lunga e dramma­tica », la definisce Domenico Nunnari che ai fatti di Reggio ha dedicato da tempo accurati studi raccolti nel volume La lun­ga notte della rivolta (Laruffa editore, pagg. 168, euro 23). «La rivolta,somiglia ad un’enclave,straniera in patria,incompre­sa e abbandonata, in un isolamento deprimente e insostenibi­le ». Significativa è la ricostruzione che Nunnari offre dell’at­teggiamento dei grandi giornali nazionali che all’inizio snob­barono i fatti di Reggio come una rivolta cialtronesca. Sarà l’intensità dei fatti,l’attenzione della stampa internazionale a far mandare a Reggio decine di inviati. L’ escalation è rapida: «Dopo le prime vampate di guerriglia urbana, la protesta di­venne inarrestabile. Si alzarono le barricate sulle strade, con calcinacci, carcasse d’auto e vecchi mobili. Per transitare da un quartiere all’altro bisognava valicare i “checkpoint”,punti di passaggio.I capi della rivolta chiedevano i documenti».Gio­vanni Spadolini, all’epoca direttore del Corriere della sera , scriveva: «C’è nella tragedia di Reggio, la protesta di una città che ha un reddito pro capite tra i più bassi della penisola, la dolorosa illusione di un antico centro glorioso che crede di trovare la sanatoria ai propri problemi di sviluppo economi­co nell’evasione spagnolesca di una capitale regionale». Nelle prime battute la rivolta è spontanea, non ha connotati politici, viene prima snobbata e poi osteggiata dal Pci, il parti­to che pure, in quegli anni, in tutta Italia muove consistenti forze sociali. La rivolta sfugge agli schemi classici delle conte­stazioni studentesche e operaie mosse dalla sinistra. A caval­carla è il Msi, partito che di lì a un anno avrebbe incassato una consistente vittoria elettorale e che al Sud disponeva di un forte radicamento urbano e sottoproletario. In poche settima­ne il sindacalista Cisnal Ciccio Franco assume la leadership dell’insurrezione,e Adriano Sofri è costretto a definirlo come un efficace capopopolo, colui che fa adottare il motto degli arditi della Prima guerra mondiale «boia chi molla». Per sett­i­mane Reggio è controllata dai rivoltosi che quasi si danno una forma di autogoverno. Si spegnerà dopo dure lotte, con un triste bilancio di vittime, per effetto di interventi pesanti delle forze dell’ordine e per il varo del cosiddetto «pacchetto Co­lombo »:una serie di misure compensative,peraltro mai vera­mente attuate. Come molte pagine della storia d’Italia, que­sto episodio è stato per decenni derubricato a rivolta fascista, a una vicenda di cronaca. Solo da qualche anno la sinistra intellettuale che in questo Paese si ritiene depositaria della verità ha cominciato ad ammettere i suoi errori.