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 2011  febbraio 21 Lunedì calendario

Il plusvalore dell’etichetta - Insieme con la spesa bio che facciamo ogni settimana via Internet (verdura, biscotti, yogurt, sapone, scatolette, ecc

Il plusvalore dell’etichetta - Insieme con la spesa bio che facciamo ogni settimana via Internet (verdura, biscotti, yogurt, sapone, scatolette, ecc.), arriva un nuovo opuscolo: «Cuorebio. I negozi ecologici». Lo compulso con attenzione. Contiene una doppia pagina interessante: «Leggiamo l’etichetta». Mi c’immergo. Si tratta della carta d’identità del prodotto, fondamentale per mangiar bene. Mi insegna che bisogna fare attenzione al peso netto, alla denominazione di vendita, quindi verificare l’elenco degli ingredienti in ordine ponderale. Tutto bene. Poi ci sono altre informazioni da osservare: i possibili allergeni presenti nel prodotto finito e le modalità di conservazione. La data di scadenza oramai è un riflesso condizionato, come la presenza di conservanti. Conosco a memoria la sequenza da eccepire: le E dei conservanti, e quelle dei coloranti (da scartare subito!), e ancora le E dei regolatori di acidità, degli addensanti, emulsionanti, gelificanti, stabilizzanti, e infine degli additivi vari (da evitare). Un atteggiamento talebano? No, semplice cautela. Dal manuale per leggere l’etichetta imparo le nuove indicazioni ora obbligatorie per i prodotti bio; poi sul tipo di materiale di confezionamento usato e come riciclare il packaging. Notizie importanti per noi consumatori. Consumatori? Mi ricordo improvvisamente di un libro degli Anni Ottanta, allora assolutamente imperdibile per i salariati: Come si legge la busta paga (Editori Riuniti, 1983) di Renzo Stefanelli. Sono cambiati i tempi: da dipendenti a consumatori. Un cambio epocale. Ha ragione Christian Marazzi, economista, autore de Il posto dei calzini (Bollati Boringhieri): dopo l’outsorcing, l’esternalizzazione del lavoro e delocalizzazione industriale, ora è la volta del crowdsourcing, ovvero la «messa al lavoro» della folla. È la mossa perfetta. Trasformarci tutti in consumatori: di Google, di Ikea, di Facebook; far lavorare i consumatori alla riproduzione del loro bene servizio. Proprio come accade per la libreria Billy, dice Marazzi, che, montata a casa, fa ottenere risparmi favolosi al venditore. Leggo l’etichetta e dunque lavoro? Accumulo plusvalore per altri? Dice Marazzi: questo è produrre valore a mezzo di lavoro gratuito. Non mi sono mosso di casa e grazie all’etichetta sono un operaio. Postfordista e postmoderno, naturalmente. Che meraviglia.