MARCO ALFIERI, La Stampa 21/2/2011, 21 febbraio 2011
Il Paese frenato dalla politica - Nudi alla meta. «L’attenzione di governo, opposizione e informazione è spasmodicamente puntata su questo pendolo, che oscilla ogni giorno a favore o contro Berlusconi, e che ci rende incapaci di guardare più lontano o di vedere lo stato in cui versa l’Italia, che è un paese malato»
Il Paese frenato dalla politica - Nudi alla meta. «L’attenzione di governo, opposizione e informazione è spasmodicamente puntata su questo pendolo, che oscilla ogni giorno a favore o contro Berlusconi, e che ci rende incapaci di guardare più lontano o di vedere lo stato in cui versa l’Italia, che è un paese malato». Così «camminiamo in un deserto in cui l’unica speranza sono le mille iniziative private…», ha scritto ieri, nel suo editoriale, il direttore de La Stampa , Mario Calabresi. Lo ha fatto citando il caso dell’imprenditore Fiore Piovesana, titolare della Camelgroup di Orsago (Treviso), il quale in una densa lettera ha voluto esprimere tutto il disagio per l’ignavia della politica e il pantano in cui affoga il paese. E’ un disagio diffuso nelle vene dell’Italia che produce. «Non si fa nulla per contrastare i dazi, nessun taglio alla spesa improduttiva, le tasse restano esorbitanti e la burocrazia asfissiante», completa Piovesana il giorno dopo. Legno e arredamento Camelgroup fa parte di un settore cardine del made in Italy, il legno-arredo, che negli anni pre crisi impiegava 410 mila addetti per circa 75 mila imprese e faceva 40 miliardi di fatturato. Dopo 2 anni di recessione in cui i mercati esteri sono crollati (-23,5%) e il -30-40% negli ordini è stato il profondo rosso comune lungo lo stradone ingolfato che unisce la Brianza con Pordenone, il 2010 si è concluso con un gracile +1,8% sul 2009. «Un modesto recupero non può illuderci di aver risolto i problemi, la strada è ancora lunga per tornare ai livelli del 2008», frena il presidente di Federlegno-arredo, Rosario Messina, patron di Flou. A preoccupare è il dato sull’occupazione, scesa di altro 1,8% nel 2010, dopo la moria di 100mila posti nel pieno dello tsunami. Nel frattempo i pochi campioni di settore hanno compiuto la metamorfosi e fanno da sé, ma il corpaccione dei piccoli? «Speravamo che nel Milleproroghe ci fosse qualche incentivo, invece tutto si è volatilizzato», si lamenta Messina sulla falsariga di Piovesana. Edilizia Dal mobile all’edilizia il passo è breve. «Senza edilizia non c’è ripresa duratura», dicono i manuali di economia. Trecento settanta miliardi di fatturato complessivo, 3 milioni di occupati tra diretti e indotto. Qui non c’è la valvola dell’export né la ripartenza tedesca a cui agganciarsi. Il 90% del comparto è fatto da Pmi che servono il mercato locale. Il 2010 è stato l’anno nero dei cantieri. Cosa fa la politica? Pochino, se persino un associazione come l’Ance è scesa in piazza per protestare contro l’immobilismo di palazzo Chigi. Infrastrutture L’altro giorno, Silvio Berlusconi si è lamentato che il paese cresce poco «anche perché abbiamo il 50% di infrastrutture in meno di Francia e Germania». Eppure, esattamente 10 anni fa, il Cavaliere andò a «Porta a Porta» e sulla lavagna di Bruno Vespa disegnò una mappa colorata piena di strade, ponti e ferrovie che, nel giro di pochi anni, avrebbero dovuto cambiare il volto del paese. Quel gigantismo visionario finì dentro la legge 443 del 2001, meglio nota come Legge Obiettivo: un elencone di 250 grandi opere del valore di 125 miliardi di euro. Dieci anni dopo, secondo i dati Cipe, siamo fermi al 25% dei lotti. Qualche opera ha tagliato il traguardo (passante di Mestre e alta velocità Torino-Napoli), ma infrastrutture come la Torino-Lione, il Brennero, l’asse est-ovest dell’AV, il terzo valico o la Salerno-Reggio Calabria sono in grande ritardo o impantanate alla ricerca del piano finanziario e del progetto (il Frejus). «In assenza di un pacchetto che rilanci il settore, rendendo più snelle le procedure e integrando la dotazione finanziaria - ha scritto Giorgio Santilli su Il Sole24Ore - il 2011 sarà l’anno in cui la crisi dei lavori pubblici si radicalizzerà e si abbatterà sul sistema delle imprese». Per il Cresme, il 20% delle aziende di costruzioni è a rischio chiusura. Il piano delle piccole opere varato nel 2010 dal Cipe è sempre al palo, mentre l’Anas ha opere ferme prima dell’apertura del cantiere per 2,6 miliardi. E ancora. Secondo Paolo Buzzetti, presidente Ance, «degli 11,3 miliardi programmati dal Cipe nel giugno 2009, solo il 2,7% si è trasformato in gare per lavori. Inoltre gli stanziamenti statali per le infrastrutture sono stati tagliati del 23% nel biennio 2009-2010, e di un altro 14% per il 2011». E il governo parla d’altro. Non ha creato le condizioni per attirare capitale di rischio. «Solo con regole certe, indispensabili per investimenti che producono redditività differita, è possibile indirizzare i privati verso le grandi opere», spiega Alberto Meomartini, presidente di Assolombarda. Invece, Brunetta o non Brunetta, «ci vogliono in media 26 firme da parte di 11 enti diversi per completare l’iter di approvazione di un progetto». Anche qui, forse, «c’è bisogno di alzare lo sguardo...».