Michele Farina, Corriere della Sera 21/02/2011, 21 febbraio 2011
IL PATTO DEI SETTE FRATELLI ORA RISCHIA DI SPEZZARSI
Muammar, almeno lui, è fuggito. Per il nipote del Raìs, un anno di vita, niente più latte di cammella nella tenda dell’omonimo nonno dove mamma Aisha lo portava ogni giorno, prima che il vento della rivolta avvolgesse anche la Libia. L’unica figlia del Colonnello sarebbe volata con i tre piccoli eredi e la nonna Safia a Dubai dove, secondo il quotidiano Ossanlibya. org, un paio di settimane fa ha acquistato un palazzo. Via Aisha, l’avvocata che fu nel collegio di difesa di Saddam Hussein: «Un leader che ha fatto tanto bene al Medio Oriente ed è stato ingiustamente condannato a morte» . Adesso ci sarebbe un leader da difendere in casa: suo padre. Però con le armi, non con le arringhe. E allora via da Tripoli anche la first lady frugale (rispetto alla collega tunisina Leila Trabelsi) e sempre messa in ombra dalle amazzoni del marito. Via le donne restano i maschi, guerrieri o calciatori, diplomatici o cialtroni. A difendere l’accampamento restano i sette figli del Raìs più il genero Hamid, ufficiale delle forze speciali. Uniti e compatti secondo la propaganda che filtra dalla tenda del capo. Una persona di famiglia ha raccontato al giornale Al-sharq al-Awsat che «il Colonnello non fuggirà anche se le cose dovessero precipitare. Quando è scoppiata la crisi ha richiamato in patria tutti i figli per fare il punto e decidere cosa fare» . Un Padrino beduino ambientato nel deserto. Ma i figli sono davvero uniti? In realtà la crisi potrebbe aver allargato le divisioni tra l’ala militarista e quella più riformista della famiglia. Ecco Saif al-Islam, la faccia presentabile del regime, l’unico che abbia osato criticare il padre, l’architetto di riforme più o meno immaginarie nelle cui mani l’Occidente riponeva (e ancora ripone) le chiavi di una morbida continuità per il dopo Muammar. La Spada dell’Islam, il figlio più moderato malgrado il nome, vanta più entrature nelle ambasciate europee che nei meandri del ministero della Difesa a Tripoli. Si sa che l’esercito (se non il padre) gli preferisce il fratello minore Mutassim, già colonnello e dal 2010 consigliere per la sicurezza nazionale. Fino a pochi mesi fa si discuteva della lotta di successione tra Saif e Mutassim, tra l’amico di Tony Blair e l’amico dei vari Mukabarat arabi che non disdegna le feste faraoniche. Ora l’immagine che passa dall’entourage del leader mostra i fratelli non più coltelli che lottano per la sopravvivenza comune. Saif in giacca e cravatta, conciliante in tv, Mutassim in divisa dietro le quinte della repressione. Per anni abbiamo seguito i gheddafini scavezzacollo, le bravate europee di Hannibal capace di sprintare contromano per gli Champs Élysées a 140 all’ora o di picchiare la servitù a Ginevra finendo 2 giorni in galera e scatenando la rappresaglia del padre, con la Svizzera quasi costretta ad umiliarsi: il Colonnello tuonò che era un Paese mafioso da smembrare tra Italia, Francia e Germania. Adesso è la Libia che si spacca. Nel sangue. Si sta sfilacciando anche la famiglia al potere? Di certo i bulli da reality hanno lasciato i riflettori ai fratelli da battaglia. In ombra il manesco Hannibal e l’ex calciatore Saadi che pure noi siamo riusciti a far giocare in serie A (nel Perugia). Adesso è guerra. Ma non è chiaro se possa essere la diplomazia di Saif al-Islam a salvare il Padrino o la mitragliatrice dell’ultimo fratello, il minore dei sette Gheddafi jr, quel Khamis che dà il nome e dà gli ordini a uno squadrone d’assalto.
Michele Farina