21 febbraio 2011
BELLISSIME CASE, ANCHE SE CHIUSE
Ai cultori bastavano pochi segni, le persiane chiuse, i vetri opachi, il numero civico illuminato come un faro. Il vero lusso era all’interno: un labirinto di salotti per accedere con calma alla scalinata che portava ai piani superiori e alle camere, dove spendere finalmente il gettone della maison.
Alla struttura delle case chiuse, impenetrabile all’esterno e aperta a ogni fantasia al suo interno, Paul Teyssier ha dedicato lo splendido volume Maisons closes parisiennes. Architectures immorales des années 1930, edito da Parigramme. A ottant’anni dall’apertura del più famoso bordello della Ville Lumiere, Le Sphinx, e a sessantacinque dalla legge Richard che impose in Francia la chiusura delle case d’appuntamento, questo saggio, nella ricchezza di immagini, comprese le planimetrie delle maison rinvenute negli archivi della polizia, ricostruisce con eleganza e profondo rispetto per le vittime, le donne ovviamente, un ritratto inedito di Parigi. Era stato Napoleone, nel 1804, a legalizzare le case di piacere. Cinquant’anni dopo nella capitale fiorivano più di duecento postriboli, e i primi sguardi furtivi tra le camere si devono a Degas e a Toulouse-Lautrec. Ma bisogna aspettare gli anni 30 del Novecento per scoprirsi autentici voyeur. E se è vero che è stato Atget il primo grande fotografo a esplorare l’interno di alcune maison, e affondare gli occhi nella carne di una rigogliosa fanciulla, spetta a Brassai, autore del magnifico Paris de nuit del 1932, il merito di aver trasformato le case chiuse – la sua preferita era Chez Suzy, al 7 di rue Grégoire de Tours – nell’emblema surreale della notte e dei suoi misteri. Memorabili i suoi ritratti di donne a la garçonne, vestite di nulla, in equilibrio sui tacchi, pronte a soddisfare le voglie dei clienti. E tra questi la polizia, la famosa brigade mondaine, aveva contato in una ispezione a sorpresa un dentista inglese, un imprenditore svizzero, un generale di divisione e un ex prefetto francesi, e un commerciante egiziano.
A ogni uomo, a ogni fantasia, la sua casa. E per orientarsi nella vasta scelta il sindacato delle tenutarie, le celebri Madame, avevano finanziato la pubblicazione della Guide Rose: indirizzi, specialità, la methode anglaise per esempio, leggi pratiche sadomaso, e tra una pagina e l’altra, vitale al bilancio anche allora, tanta bella pubblicità. Un caso se Brassai realizzò una serie di scatti di audace lingerie, marca Diana Slip? La stessa, di pizzo nero sui fianchi, che indossavano le ragazze vestite da chierichetto al 36 di rue Saint Sulpice, casa ad uso esclusivo degli ecclesiastici. Gli uomini politici preferivano frequentare i bordelli deputati alle loro cariche, come i sontuosi Le Senat e Le Parlament. Ma capitava anche di incontrarli nel mondanissimo One two two, al 122 di rue de Provence, dove ogni camera rendeva omaggio a un luogo dell’erotismo e accanto alla chambre indienne si poteva gioire tra i velluti di un treno di lusso, montato su finte rotaie per simulare il viaggio, e al momento cruciale un controllore, compreso nel prezzo, irrompeva nel vagone. Infine, pronta a svelare gli enigmi del piacere, splendeva Le Sphinx, al 31 di boulevard Edgar-Quinet, l’unica maison de rendez-vous a essere nata ex novo, nel 1931, e l’unica dotata di aria condizionata. Tra i clienti, Gary Cooper, Marlene Dietrich, Georges Simenon e Henry Miller, copywriter per la brochure del locale in cambio di un’ora d’amore. Delle seimila prostitute che ogni giorno a Parigi, dalle tre del pomeriggio alle cinque del mattino, offrivano il loro corpo a nomi così eccelsi non restano invece che fantasmi anonimi e un sorriso imbarazzato, perché nulla come la fotografia amplia all’infinito la platea dei clienti.