Vittorio Carlini, Il Sole 24 Ore 21/2/2011, 21 febbraio 2011
IL CALCIO IN BORSA È UN AFFARE DA «TURCHI»
«Tiro, goool! Anzi no, palo» e l’agognato pareggio svanisce. Risultato? Il lunedì successivo le azioni del club sportivo scivolano. Il pallone europeo in Borsa spesso è così: titoli sottili; business "umorale"; una comunicazione, salvo rare eccezioni, non così trasparente; pochi investitori istituzionali e numerosi tifosi-azionisti. Insomma, un settore volatile che, soprattutto durante la crisi, nessuno avrebbe consigliato: "condizionare" i propri risparmi alle reti di Peter Crouch del Tottenham o alle parate di Hugo Lloris dell’Olympique Lyonnas non risponde al giusto criterio di rischio/rendimento.
Eppure, proprio una selezione di società pallonare ha ben giocato nella tempesta. Sono i 23 club che compongono lo Stoxx Europe football index. Il paniere, negli ultimi 5 anni, ha guadagnato circa il 22%, a fronte di un calo del 23% dello Stoxx Europe 600 Leisure&Travel; un trend che, seppure indebolito sul trienno, cresce negli ultimi due anni (+55,6%). Da gennaio 2011, poi, il balzo è di oltre l’8 per cento.
E le sorprese non finiscono qui. L’indice non è stato spinto in rete dai soliti noti quali Juventus o Porto. La volata è stata tirata dal calcio turco che pesa non poco nel paniere. Dietro al teutonico Borussia Dortmund (che ha il valore maggiore del 12,18%) compaiono il Fenerbahce (11,5%) e il Besiktas (11,2%). Poi, superata la parentesi danese del Parken sport (9,7%), seguono il Trabzonspor (9,49%) e il Galatasaray (7,98%). Insomma, l’andamento dello Stoxx pallonaro è condizionato dalle società del paese della mezzaluna.
Una peculiarità che ha aiutato: il Fenerbahce, per esempio, nel quinquennio ha guadagnato circa il 265% e il Trabzonspor il 445 per cento. Sui tre anni, poi, il Besiktas ha fatto il botto (+606%).
L’occasione è da sfruttare? Bisogna fare attenzione. In primis, Istanbul è tra gli emerging country che più sono cresciuti nel 2010: il Pil, in termini reali, è salito del 10 per cento. Il boom dell’economia ha attirato capitali internazionali che hanno spinto l’azionario: il listino, sui tre anni, ha guadagnato circa il 50 per cento. Molte società, tra cui i club di calcio, hanno sfruttato l’onda della liquidità. Ora, giocoforza, è meglio capire se i singoli titoli sportivi hanno buoni fondamentali, oppure no. L’obiettivo, però, non è così semplice. Le società turche, infatti, non sembrano spiccare per trasparenza. Sul sito del Trabzonspor (www.trabzonspr.or.tr), per esempio, la pagina web dedicata agli investitori è piuttosto nascosta e non è prevista la versione inglese. L’alternativa sarebbe analizzare il foglio elettronico della Borsa di Istanbul dedicato agli avvisi delle quotate (www.kap.gov.tr/yay/English). Anche qui, però, sussiste una certa opacità: solo le tabelle sono in inglese; molti documenti, invece, rimangono incomprensibili a chi non conosce la lingua di Ataturk. Alla fine, puntare sui gol del Galatasaray è un rischio.
L’alternativa, visto che non esiste un Etf sullo Stoxx europe football, secondo alcuni operatori può essere quella di replicare la composizione dell’indice in un proprio portafoglio. Una strategia comunque difficile: va monitorata la revisione del paniere e, soprattutto, bisognerebbe conoscere i mutamenti tra i pesi dei singoli titoli, che però il gruppo Stoxx non pubblica.
Fin qui la mezza luna: ma nell’Europa d’occidente? Un tempo, alla fine degli anni ’90, la patria del pallone in Borsa era la Gran Bretagna, con oltre 20 club quotati. Adesso ne sono rimasti solo 6, segno del declino dell’appeal tra azioni e football. Anche in Italia, dopo l’entusiasmo del ’96 (entrata in vigore della legge che ammette lo scopo di lucro per la società calcistiche), a sbarcare in Piazza Affari sono state solamente in tre: Lazio, Roma e Juventus.
Proprio su queste ultime due puntano gli occhi gli analisti. Per il club giallorosso, nel momento in cui arrivasse l’ok formale alla cordata americana (acquisto del 60% sul 67% del capitale in vendita), dovrebbe scattare (salvo espedienti legali) l’obbligo di Opa. Gli operatori un’occhiata la daranno.
La "nuova" Juventus (che da Star vanta buoni standard di comunicazione finanziaria) ha, invece, risvegliato l’interesse degli istituzionali con il business plan aziendale: in particolare, con lo stadio di proprietà che sarà inaugurato nella stagione 2011/2012. Il nuovo impianto, è il leit motive, dovrebbe permettere la diversificazione necessaria per rendere più visibili e meno volatili i ricavi. La strategia del gruppo, che un report di Banca Imi (specialist della società) stima nell’esercizio 2010/2011 in perdita per 39,8 milioni, si snoda comunque attraverso due passaggi essenziali. Il primo è l’ingresso in Champions: il traguardo vale 15-20 milioni (35-40 la conquista della finale) che, a fronte di spese aggiuntive praticamente nulle, di fatto è "tutto" margine operativo. Il secondo, peraltro comune a tutte le società, è la riduzione del costo del lavoro. Il contenimento di ingaggi e cartellini dei giocatori contribuirebbe non poco a ritrovare il break-even.
In tal senso il fair play finanziario dell’Uefa può dare una mano. Anche se qualcuno, malignamente, già indica le vie che i club potrebbero seguire per "aggirarlo": come dimostrare, per esempio, che una sponsorizzazione (considerata ricavo dall’Uefa), in realtà non sia una ri-capitalizzazione "mascherata" del club?