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 2011  febbraio 21 Lunedì calendario

QUATTRO SEPARAZIONI OGNI DIECI MATRIMONI - I

titoli di coda scivolano via senza happy end. Non si tratta di un film, ma della realtà. Per ben quattro coppie su dieci il matrimonio si è concluso in tribunale. La freddezza dei numeri fotografa (ancora una volta) un aumento delle separazioni. Erano poco meno del 30% rispetto alle nozze celebrate, appena un anno fa. Senza contare le unioni che anche lo stato ha riconosciuto come definitivamente concluse. In questo caso, i rapporti di forza sono all’incirca di uno a cinque (il totale nazionale è di 216 ogni mille matrimoni). La strada scelta in prevalenza è quella della fine di comune accordo: le consensuali sono circa il 70% di tutte le separazioni. Quanto ai tempi, l’attesa per una separazione giudiziale (quando non c’è l’accordo tra i coniugi) si aggira sui due anni.

I toni e le situazioni sono diverse sul territorio. Più in generale, la tenuta sembra essere maggiore al Sud. Vittima della sindrome da matrimonio sono soprattutto le coppie liguri: ben 514 su mille matrimoni imboccano la strada per diventare ex. Tendenza molto simile anche in Friuli Venezia Giulia, dove addirittura c’è la cifra tonda: per il 50% scatta l’«arrivederci, amore ciao». Frase molto meno pronunciata in Calabria, la regione con il rapporto più basso sia di separazioni (174 su mille nozze) che di divorzi (84).

Geografie variabili, ma tendenza di fondo all’aumento, però, è confermata anche dall’esperienza quotidiana degli "addetti ai lavori", in particolar modo avvocati e magistrati. «Nel 2003 quando ho iniziato a occuparmi della materia nell’udienza fissata ogni settimana arrivavano 15 fascicoli. Oggi siamo a quota 20, in qualche caso anche a 25». Massimo Escher, da poco passato in corte d’appello, ricorda così il suo recente trascorso da giudice al tribunale di Catania. Se c’è un filo conduttore comune, Maria Giovanna Ruo, avvocato e presidente della camera minorile nazionale Cammino, lo individua nel problema dell’instant generation. Dietro la fine dei matrimoni, a suo avviso, ci sono «vari fattori sociali e culturali tra i quali sono significativi il prevalere del modello consumistico anche nei sentimenti e l’aver perso il senso della progettualità e della costruzione anche delle relazioni». Come spiega Laura Laera, presidente dell’Aimmf (Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e la famiglia), «è il modello di società liquida applicato anche alle relazioni familiari».

Eppure i margini di azione ci sono. «In Italia, una situazione desolante come quella del film "La ricerca della felicità" (lui rimasto solo con il figlio e in difficoltà economiche, ndr) in genere sarebbe difficile – continua Laera – perché c’è una rete di protezione di relazioni familiari e amicali che funziona, anche se sempre meno». La strada è quella della prevenzione. «Si costruisce – riflette Ruo – con un’educazione al senso di responsabilità personale e sociale».

Per Escher è importante anche rafforzare la mediazione sul territorio. Lo strumento ha fatto capolino nel diritto di famiglia con la legge sull’affido condiviso, che si avvia a compiere cinque anni. In pratica, il giudice della separazione può rinviare l’adozione dei provvedimenti sui figli per fare in modo che i coniugi, con l’aiuto di esperti, cerchino di arrivare a un accordo. «È un modo per eliminare il contrasto nella migliore delle ipotesi – evidenzia il magistrato – o almeno per indirizzare la separazione verso uno sbocco consensuale».

Per Filippo Danovi, avvocato ma anche docente di procedura civile all’università Bicocca, la legge sull’affidamento condiviso ha un grande merito: «È venuto meno un terreno di contesa. È chiaro, però, che si tratta di una formula astratta. La bigenitorialità si riesce a esercitare se gli ex partner trovano un canale di comunicazione». Resta il fatto che le leggi sulla famiglia risentono del tempo che passa. Per ora non si muove molto all’orizzonte. I tre Ddl sul divorzio breve, il cui esame è iniziato un anno fa, sono ancora fermi in commissione alla Camera mentre il progetto sui figli naturali approvato a ottobre al senato è ancora in stand by nell’altro ramo del parlamento. Ma quello che manca, secondo gli operatori, è un disegno unitario, che riveda e attualizzi le norme sul piano sostanziale e processuale. La prospettiva potrebbe essere quella di arrivare a un organismo unico specializzato. «Un tribunale delle persone, dei minori e delle relazioni familiari – propone Laera – anche se la riforma non può essere staccata da un riordino più complessivo del sistema giustizia». Andrea Maria Candidi, Giovanni Parente – I PASSI IN TRIBUNALE QUANDO LA COPPIA VA IN CRISI - La famiglia cambia. Un modello noto e accettato, che subisce quotidianamente contraccolpi spesso traumatici. I giudici devono registrare queste situazioni e cercare di regolamentarle, prendendo atto della crisi che investe uno degli istituti fondanti della società e della probabile inadeguatezza dei rimedi che il legislatore ha apprestato per gestire queste crisi: decisioni, quindi, assai difficili, per cercare di mettere, nero su bianco, doveri e diritti dei coniugi in un contesto spesso di alta tensione.

Novantamila separazioni e 50mila divorzi – contro 246mila matrimoni, 90mila solo civili –, 150mila figli (di cui 100mila minori) coinvolti ogni anno nelle crisi coniugali: sono numeri impietosi, che raccontano il film proiettato, giorno dopo giorno, nelle aule di giustizia e che evidenziano un fenomeno così imponente da reclamare una legislazione adeguata a un contesto socio-culturale ampiamente mutato rispetto a quello in cui è nata la normativa che disciplina le crisi coniugali: ciò almeno per le tematiche dell’assegnazione della casa, dell’affidamento dei figli (compresi quelli dei genitori non sposati), del loro mantenimento, della tutela del coniuge più debole. E poi, subito dopo, la disciplina delle «famiglie allargate» e delle «unioni di fatto».

La famiglia cambia. Ma non la legge. Il diritto di famiglia è datato 1975, con pochi interventi successivi, spesso spinti dalla giurisprudenza: ultima, in ordine di tempo, la presa di posizione della Cassazione che ha rilevato (sentenza 2572/2011) l’assenza di una normativa sull’adozione da parte di genitori single e, quindi, la non applicabilità diretta della convenzione di Strasburgo.

La legislazione sul divorzio risale a epoca addirittura precedente, e cioè al 1970. Unici cambiamenti di rilievo, la diminuzione a tre anni (prima erano 5) del tempo per poter presentare, dopo la separazione legale, la richiesta di «cessazione degli effetti civili» del matrimonio; e l’affermazione, come regola-base, dell’affidamento congiunto dei figli a entrambi i genitori. Oggi c’è da chiedersi se questo lasso di tempo di 3 anni e lo stesso doppio passaggio (prima la pronuncia di separazione, poi quella di divorzio) siano ancora giustificati o se provochino solo perdite di tempo e di soldi e si risolvano in un inutile, penoso o fastidioso trascinamento di situazioni irrimediabilmente compromesse. L’idea originaria era che questa procedura avrebbe dovuto stimolare i coniugi a pensare seriamente alle loro decisioni e, possibilmente, a ritornare sui loro passi: l’esperienza acquisita dovrebbe dunque servire a comprendere se la normativa in questione abbia raggiunto le finalità che ne costituivano il presupposto o se la normativa e la realtà non siano per caso da riallineare.

Altro punto spinoso è il diritto ereditario: il coniuge è in ogni caso erede anche se separato legalmente (si veda il box a fianco). I rapporti di convivenza sono invece completamente ignorati, con la conseguenza che la legge preferisce che l’eredità sia devoluta magari a lontanissimi cugini (la successione riconosce i parenti fino al 6° grado) che il defunto, in ipotesi, nemmeno abbia conosciuto, e nulla concede al convivente che con il defunto magari abbia avuto uno stabile rapporto, durato anni. Nessun diritto nemmeno ai figli del coniuge o del convivente che pure abbiano avuto con il defunto un rapporto di intensa familiarità.

"Tirati" dalla realtà, i magistrati cercano la mediazione con il diritto vigente quando la famiglia si rompe. Nelle pagine di questo dossier, oltre a spiegare le diverse procedure, si analizza l’immensa mole di sentenze in materia facendo il punto sugli orientamenti più consolidati. E si dà conto anche di quelli più innovativi. Dalla scelta della scuola dei minori all’ospedale dove far eseguire un intervento chirurgico, dalle visite dei nonni alla quantificazione delle spese straordinarie fino ad arrivare al "monitoraggio" sui redditi dell’«ex». Angelo Busani, France Deponti • SEPARAZIONE E DIVORZIO

Si chiedono con ricorso. L’istanza di separazione va inoltrata al tribunale del luogo di ultima residenza dei coniugi; il divorzio al tribunale del luogo di residenza o di domicilio del convenuto. Con i ricorsi, si può chiedere anche l’addebito (solo in sede di separazione), l’assegnazione della casa e l’assegno di mantenimento. Se si discute dell’affidamento della prole, è obbligatoria la sua audizione ma solo se il giudice non la ritenga dannosa per il minore. L’ordinanza presidenziale, che detta i provvedimenti urgenti, è reclamabile in Corte d’appello ma non ricorribile per Cassazione

LA FINE DELLA CONVIVENZA

Per la coppia di fatto, la legge subordina la possibilità dei genitori di ricorrere all’intervento del giudice minorile, per regolare affido e mantenimento dei figli naturali, alla cessazione della convivenza. Per integrare tale presupposto basta il venir meno della comunione di vita che caratterizzava la famiglia di fatto, nonostante i genitori continuino a coabitare nello stesso immobile (tribunale per i minorenni di Bari, 17 novembre 2010)

L’AFFIDAMENTO DEI FIGLI

La regola generale è l’affidamento condiviso a entrambi i genitori. Di solito, si dispone il collocamento prevalente del minore presso il genitore più idoneo a garantirne la stabilità emotiva

LA FILIAZIONE NATURALE

La procedura per la regolamentazione delle questioni relative ai figli di genitori non coniugati si avvia con ricorso presso il tribunale per i minorenni del luogo di residenza abituale del minore (luogo dove abita al momento della proposizione della domanda). Questo tribunale, però, è competente a decidere sul mantenimento esclusivamente nel caso in cui la domanda sia contestuale a quella di affidamento

IL CONSENSO SULLE SCELTE

I genitori in disaccordo sulle decisioni di maggiore interesse relative ai figli possono chiedere che sia il giudice (tribunale del luogo di residenza del minore) a risolvere la questione. Il giudice potrà suggerire le soluzioni più adeguate a soddisfare l’interesse del minore. Ma potrà anche attribuire la decisione al genitore più idoneo a curare l’interesse del figlio
L’ASSEGNO AL CONIUGE

Il giudice, pronunciando la separazione, può disporre in favore di uno dei coniugi la corresponsione dell’assegno di mantenimento. Tale richiesta, però, presuppone che non gli sia stata addebitata la crisi e la mancanza di redditi propri adeguati a mantenere un tenore di vita analogo a quello coniugale (e, in caso di divorzio, l’impossibilità oggettiva di procurarseli)

L’ASSEGNO ALLA PROLE

Al mantenimento dei figli sono tenuti entrambi i genitori. Tuttavia, in caso di collocamento prevalente presso uno dei due, il giudice dispone la corresponsione di un assegno periodico a carico dell’altro. Nella quantificazione si valutano prioritariamente le «attuali esigenze del figlio»

IL FIGLIO MAGGIORENNE

L’obbligo di mantenere i figli non cessa automaticamente con la maggiore età. Bisognerà valutare se la prole abbia raggiunto l’indipendenza economica. La prova della non autosufficienza spetterà al figlio che chiede il mantenimento o al genitore con lui convivente

LE SPESE STRAORDINARIE

Il codice civile non parla di «spese straordinarie» a carico dei genitori. È normale, però, che il figlio possa avere delle esigenze imprevedibili (mediche, scolastiche). Il giudice, pertanto, in sede di separazione o di divorzio, oltre a quantificare l’assegno mensile di mantenimento, prevede il concorso di entrambi i genitori nelle spese straordinarie. Queste non sono predeterminate dalla legge nella misura del 50% a carico di ciascun genitore, poiché - in presenza di una disparità patrimoniale e reddituale - potrebbe essere prevista una quota maggiore di contribuzione a carico del genitore più agiato

LA CASA FAMILIARE

L’assegnazione della casa familiare mira a garantire alla prole il mantenimento dello stesso ambiente in cui ha vissuto durante la convivenza dei genitori. La casa sarà assegnata al coniuge affidatario dei figli (se minorenni) o convivente con i figli maggiorenni (non autonomi economicamente). Proprio perché l’assegnazione è nell’interesse della prole, il diritto di abitarla non cessa automaticamente se l’assegnatario si sposi di nuovo o inizi una convivenza con un altro partner
IL CONCETTO DI DATO SENSIBILE

Le dichiarazioni dei redditi non sono dati «sensibili». In questo concetto, rientrano solo quelli indicati espressamente nel Dlgs n. 196/2003. È su queste basi, che la recente giurisprudenza ha precisato quali siano i confini tra il diritto alla riservatezza e il diritto dell’ex coniuge a fare chiarezza sugli effettivi redditi dell’altro (per la richiesta e quantificazione dell’assegno). L’ex coniuge ha diritto ad avere una copia dei modelli Cud dell’altro. Tuttavia, per tutelare la riservatezza, l’amministrazione oscurerà i dati non relativi al reddito

L’ACCESSO AGLI ATTI

Il coniuge può avere interesse a «indagare» sui redditi effettivamente percepiti dall’altro per due motivi: per valutare se agire per una richiesta di mantenimento o comunque per decidere se intraprendere delle scelte processuali; perché è già in corso la procedura di separazione, divorzio o affidamento dei figli e c’è l’esigenza di far luce su tali dati. In entrambi i casi, il soggetto può proporre un’istanza, in via amministrativa, e chiedere l’accesso. Vanno indicati, in modo specifico, i motivi per cui la documentazione è necessaria

IL RIFIUTO DELLA PA

L’accesso ai documenti è garantito al coniuge dalla legge. Non c’è bisogno, pertanto, che la parte si munisca di un provvedimento del giudice che lo disponga. La pubblica amministrazione non potrebbe opporsi alla richiesta neppure motivando il rifiuto con la mancanza di autorizzazione da parte del coniuge del quale si chiedono i documenti. Quest’ultimo, infatti, non potrebbe comunque opporsi all’esercizio del diritto di accesso previsto dalle norme. Tuttavia, potrebbe manifestare il proprio dissenso al fatto che l’amministrazione mostri anche i dati sensibili «estranei» a quelli reddituali

LA COMMISSIONE

Nel caso in cui la Pa rifiuti l’istanza di accesso agli atti (o non si pronunci), il richiedente potrà agire per far valere i propri diritti entro 30 giorni dal rifiuto o dalla formazione del silenzio-rigetto della Pa. Il ricorso si notifica all’amministrazione e all’eventuale controinteressato e si spedisce alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi. Contro la decisione di quest’ultima, il diretto interessato può ricorrere al Tar entro 30 giorni