Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 18/02/2011, 18 febbraio 2011
ORGOGLIO SOVIETICO
«Chi non resterebbe ammirato dai nostri giorni? Chi rimarrà indifferente? Andrebbero raffigurati con mille pietre preziose il formidabile impeto, l’eroica lotta e gli slanci delle masse proletarie. I quadri della contemporaneità sono il luminoso sogno di un bambino, le fiabe di un proletariato che crea la sua luminosa vita». Quando scriveva queste frasi, Aleksandr Deineka aveva diciannove anni ed era inebriato dalla rivoluzione. Fino all’anno prima, 1917, studiava all’Istituto d’arte di Char’kov in Ucraina e scriveva ai genitori: «Fa un gran freddo, mi sono congelato orecchie e mani. Le orecchie sono passate, ma le mani sono ancora gonfie e mi fanno male. I guanti me li hanno rubati all’istituto. Se potete spedirmi un po’ di soldi che li ho finiti tutti...».
Il 25 ottobre 1917 era salito al potere il governo dei Soviet capeggiato da Lenin e Deineka aveva iniziato la sua peregrinazione tra città e villaggi, facendo conoscenza con soldati e ufficiali, con la letteratura politica e i programmi di partito. A gennaio del 1918 era tornato a casa, nella cittadina provinciale di Kursk, dove aveva cominciato a disegnare fin da bambino: «Per me disegnare era necessario come nuotare nel fiume, correre con lo slittino, incontrare gli amici». A Kursk adesso fa l’istruttore alla sezione delle arti, allestisce feste, lavora a teatro come scenografo. E dipinge. Comincia in questi giorni a cantare l’epopea di una rivoluzione che presto si trasformerà in regime. Ma lui continuerà a eseguire gli ordini dei vari comitati governativi che gli impongono temi e stile. Più che un artista sembra un soldato. Il suo compito è di celebrare le gesta dei Soviet e lo fa al suo meglio, aderendo totalmente al progetto. Anche se alla fine sarà logorato dalle limitazioni imposte dal potere al suo bisogno continuo di ricerca nel linguaggio artistico. Muore nel 1969, stroncato da una grave depressione. La moglie Elena Volkova gli sentiva dire: «Già tutto visto, so che continuo a girare in tondo. Non voglio più niente».
Fa impressione questa fine in un artista che aveva trascorso l’esistenza e impostato la sua ricerca all’insegna di un vitalismo travolgente, già annunciato in quelle frasi scritte nel 1918. Ed espresso perfettamente nelle opere in mostra al Palaexpo, a cominciare dalle tre grandi tele che aprono il percorso: «Prima della discesa in miniera » del 1925, «Sul cantiere di nuovi reparti» del 1926 e «La difesa di Pietrogrado» del 1928. L’inebriante senso di libertà che Deineka attingeva dalla cultura sovietica in quei primi anni era tale che i suoi minatori non sono le vittime raffigurate abitualmente dai pittori dell’ 800 ma lavoratori pieni di dignità e sicurezza, uomini sani e robusti, pronti a «rimboccarsi le maniche e il cervello e a far sorgere cose inaudite dalle rovine », come scriveva il poeta proletario Aleksej Gastev. Altrettanto potenti sono le donne, raffigurate in «Sul cantiere di nuovi reparti».
Spiegano i curatori della rassegna, Elena Voronovic, Irina Vakar e Matteo Lafranconi, che questo quadro suscitò una profonda impressione sui contemporanei e la sua forza è tale che colpisce ancora oggi. A stupire è soprattutto la concezione dello spazio, con la figura della donna che indietreggia insieme al vagoncino verso lo spettatore, pronta quasi a squarciare la superficie del quadro e a uscirne fuori. Come era arrivato il giovane Deineka a creare questa straordinaria composizione? C’erano le influenze delle avanguardie astratte e costruttiviste, la lezione dei grandi affreschi medievali e rinascimentali che l’artista aveva sempre ammirato, e la folgorazione delle pitture murali antico-russe di Poskov e Novgorod, scoperte nel 1926, proprio mentre lui dipingeva questa tela. Ma c’era soprattutto l’esperienza del volo che l’artista aveva compiuto nel 1920, quando si era ritrovato tra i primi passeggeri di un aeroplano. «Quel volo — dice Voronovic — rivoluzionò la sua visione della realtà, dell’alto e del basso, della statica e del movimento, degli scorci e dei punti di fuga, nella costruzione di qualsiasi composizione. Dopo quel volo, Deineka rimase per sempre in ideatore di strutture imponenti, come pronte a balzare fuori dal foglio dove erano disegnate ».
Nel guardare i suoi quadri e le sue opere grafiche bisogna tener sempre in mente questi due elementi: la vitalità dei corpi, anche quando sono feriti o inattivi, e la visione rivoluzionaria dello spazio. Forse furono questi elementi a decretare la fortuna dell’artista negli Stati Uniti, dove il pittore espose a più riprese negli anni Trenta e soggiornò — cosa eccezionale per un artista sovietico — per alcuni mesi tra il 1934 e il 1935. Al ritorno dall’America si fermò prima a Parigi, dove visitò sei volte il Louvre, e poi a Roma, dove rimase incantato dalla città e la dipinse in vari quadri, tre dei quali sono in mostra. Raffigurano piazza del Quirinale con le Scuderie, lo stadio dei Marmi e una strada con due cardinali svolazzanti.
Lauretta Colonnelli