Varie, 21 febbraio 2011
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 21 FEBBRAIO 2011
La Libia è il maggior fornitore di petrolio dell’Italia, l’Algeria è il nostro principale fornitore di gas, insieme valgono 3 milioni di barili di greggio al giorno, cioè circa il 4 per cento della produzione mondiale: se i due paesi precipitassero nel caos col rovesciamento dei regimi del colonnello Gheddafi e del presidente Bouteflika, potrebbero essere guai. Michele Marsiglia, presidente della FederPetroli Italia: «Le nostre raffinerie stanno acquistando grandi quantità di greggio. Si compra un po’ dove capita, per aumentare le scorte». [1]
Secondo un rapporto di Goldman Sachs, circa il 2,5% della produzione globale di greggio è trasportata passando per l’Egitto, attraverso il Canale di Suez (un milione di barili di petrolio al giorno in direzione sud-nord, 800mila barili di petrolio e prodotti raffinati in quella opposta) e l’oleodotto Sumed (collega il terminal di Ain Sukhna nel Golfo di Suez al sito di Sidi Kerir sul Mar Mediterraneo, trasportando in direzione nord 1,1 milioni di barili di petrolio al giorno). Mettiamo che l’Esercito egiziano non realizzi le riforme promesse scatenando una nuova rivolta popolare con blocco di Suez e Sumed: le petroliere provenienti dall’Asia sarebbero costrette a circumnavigare il capo di Buona Speranza, 20 giorni di viaggio in più con grossi effetti sui costi. [2]
Chiunque governi al Cairo, difficilmente rinuncerà alle entrate legate al canale di Suez (circa 5 miliardi di dollari l’anno scorso). [3] E anche in Libia e Algeria lo scenario catastrofista è altamente improbabile. Leo Drollas, capo economista del Centre for global energy studies (Cges): «Hanno prodotto in gennaio rispettivamente 1,56 e 1,26 milioni di barili al giorno. Anche nel peggiore scenario possibile, un’interruzione dell’offerta dal Nord Africa, la capacità di riserva dell’Arabia Saudita potrebbe compensare». Il problema è che pure l’Arabia Saudita, la “banca mondiale del petrolio” (20% delle riserve planetarie) deve fronteggiare il crescente malcontento nei confronti della monarchia. E c’è pure l’incognita Iran (da cui importiamo 160mila barili al giorno). Marsiglia: «Non ho mai visto - uno scenario così instabile, con in gioco così tanti paesi, nemmeno durante gli shock petroliferi del ’73 e del ’79». [4]
La settimana scorsa il Brent (il greggio del mare del Nord, nome derivante da un giacimento scozzese, il suo prezzo determina quello del 60% del petrolio mondiale) ha toccato a Londra 104,30 dollari al barile, il massimo dal settembre 2008. [5] Risultato: la ripresa economica quasi non si è vista e già rischia di essere stroncata. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (Aie, o Iea, all’inglese) il prezzo al barile ha ormai raggiunto «una zona di pericolo» in cui fa danni sia ai Paesi consumatori sia ai produttori, che di questo passo potrebbero di subire un crollo della domanda. Già nel 2010 il costo delle importazioni di petrolio per i 34 Paesi dell’Ocse (i più industrializzati di economia aperta, rappresentano il 65% delle importazioni mondiali) è aumentato di 200 miliardi di dollari rispetto al 2009, per un totale di 790 miliardi di dollari. [6]
L’Aie vuole esercitare una pressione sul cartello dei Paesi produttori dell’Opec, restio ad aumentare la produzione per venire incontro alla domanda in graduale crescita. [6] Le stime Opec indicano per il 2011 una crescita della domanda mondiale di petrolio pari a 1,23 milioni di barili al giorno fino a raggiungere quota 87,33 milioni di barili. Secondo l’Aie, l’incremento sarà più consistente, raggiungendo 89,1 milioni di barili al giorno. Il ministro saudita del petrolio Ali Al-Naimi, preferenza ufficiale per un prezzo del greggio tra 70 e 80 dollari al barile, continua a ripetere che «per soddisfare la crescente domanda, l’Opec è pronta ad aumentare l’offerta». In attesa che seguano i fatti, l’allarme sui prezzi sembra destinato a durare per l’intero 2011. [7]
Il ripetuto rifiuto dell’Opec a convocare una conferenza straordinaria per discutere se aumentare la produzione sembra assicurare nei prossimi mesi un rialzo delle quotazioni (la prossima conferenza ordinaria è prevista per giugno), ma la produzione può aumentare anche in vertici indetti per altre ragioni (potrebbe andar bene anche l’International Energy Forum in programma domani a Riad). Di più: la produzione può aumentare anche senza annunci. Ricci: «È quanto, del resto, sta già avvenendo. Attratti da prezzi del greggio allettanti come quelli attuali, i Paesi dell’Opec stanno già da tempo estraendo petrolio a ritmi superiori a quelli previsti dalle quote ufficialmente stabilite dall’organizzazione. La tendenza si è ulteriormente accentuata a dicembre quando, secondo i dati della Iea la produzione ha raggiunto il massimo dal dicembre 2008». [8]
Al momento il prezzo del petrolio dipende più dalla componente fisica che da quella speculativa. Manouchehr Takin, capo degli analisti del Center for Global Energy Studies (ex Opec): «Nella prima metà del 2010 la simmetria era diametralmente opposta, e la speculazione contribuiva in modo preponderante. Dal secondo semestre dello scorso anno e per tutto il 2011, invece, a determinare il prezzo è la legge della domanda e dell’offerta, e visto che in molte parti del mondo la ripresa è forte, ecco che la domanda di greggio si fa sentire in modo marcato. Non a caso lo strappo sui prezzi c’è stato nella seconda metà dell’anno quando gli inventari hanno cominciato ad essere scarsi». [9]
Per l’intero 2010 i prezzi sono saliti del 25%. [9] Fatih Birol, capoeconomista dell’Aie: «Tali livelli dei prezzi non sono nell’interesse di nessuno. I produttori di greggio hanno bisogno di clienti economicamente in forma, ma questi prezzi elevati finiranno per minare queste economie, contribuendo meccanicamente a importazioni inferiori di petrolio». [6] Più che da picchi e record occasionalmente raggiunti, sull’economia presa il prezzo medio annuale, quello cioè sostenuto su un lungo periodo di tempo. Ricci: «L’anno scorso, il prezzo medio è stato appena inferiore a 80 dollari al barile. Nel 2008 - quando, contro il record di 147 dollari a barile a luglio, ci fu anche il minimo di 39 dollari a dicembre - il prezzo medio annuale fu di 99,67 dollari, appena inferiore ai 100 dollari di oggi. Quel prezzo del petrolio, secondo più di un economista, fu una delle leve decisive della recessione». [10]
Nel 2008 il prezzo della benzina per i consumatori arrivò negli Stati Uniti a 4 dollari al gallone (3,8 litri), creando il panico. Francesco Paternò: «Il mercato dell’automobile chiuse l’anno ai minimi storici dal 1992, altro anno di recessione, spingendo per l’ultimo miglio Gm e Chrysler alla bancarotta e modificando in parte i gusti dei consumatori. Che cominciarono a comprare auto con motori più piccoli e meno assetati degli 8 cilindri da tradizione americana. “Più alto è il prezzo del petrolio e più la gente fa sforzi per consumarne meno”, disse uno che se ne intendeva, l’algerino presidente dell’Opec Chakib Khebil. La crisi poi esplose in tutti i settori per colpa principale delle banche e della finanza, ma è chiaro che un nuovo innalzamento del prezzo del greggio avrebbe oggi effetti devastanti su una ripresa così incerta». [11]
Anche se è improbabile, al momento non si può escludere che le quotazioni del greggio tornino entro la fine dell’anno ai picchi del luglio 2008. [4] Un’ulteriore spinta potrebbe venire dagli eventi in Iran (nel 2009 3,8 milioni di barili al giorno) e Iraq (2,4 milioni). Ricci: «In tutti e due i paesi, la situazione politica è fragile. Dopo l’invasione americana e gli incerti tentativi di creare strutture democratiche, l’Iraq resta una polveriera di divisioni e conflitti, anche se la stanchezza per anni di guerra e di guerriglia sembra il sentimento prevalente. Paradossalmente, appare più traballante la situazione iraniana, dove l’esempio egiziano (nonostante la tradizionale estraneità degli iraniani a tutto ciò che è arabo) potrebbe rilanciare il movimento riformista che si è scontrato con il regime la scorsa estate». [10]
Dal punto di vista delle forniture energetiche, il precedente iraniano è confortante. Takin: «Io ho personalmente vissuto l’esperienza della rivoluzione iraniana, che è stato uno dei più traumatici cambiamenti della storia. Bene, almeno per tutti i quattro anni in cui sono rimasto a Teheran dopo il cambio di regime del 1979, nulla è cambiato sotto il profilo dell’estrazione petrolifera pur dopo alcuni scossoni. È vero che il prezzo ebbe un’impennata fino a 40 dollari in concomitanza con la vittoria khomeinista, ma subito dopo scese, finché nel 1986 toccò il minimo storico a 9 dollari». [9]
I mercati sono preoccupati soprattutto per la situazione in Arabia saudita e nei paesi del Golfo. Ricci: «Insieme, Kuwait, Emirati e Qatar rappresentano circa il 6 per cento della produzione mondiale. Tecnici ed esperti sono convinti che, in caso di disordini, i paesi del Golfo abbiano, sopratutto a questi prezzi del petrolio, le casse abbastanza piene da comprare facilmente il consenso delle loro minuscole popolazioni. Lo stesso dovrebbe valere anche per l’Arabia saudita che, con le maggiori riserve al mondo e il 10 per cento della produzione globale di greggio è la potenza decisiva nel mondo del petrolio. Ma, qui, gli osservatori, davanti ad una popolazione di 25 milioni di persone, con un’età media di 25 anni, sono un poco più cauti». [10]
L’Arabia Saudita ha problemi simili a quelli dell’Egitto. Ricci: «Una popolazione sempre più numerosa e sempre più giovane: un terzo dei sauditi è fra i 15 e i 30 anni. Un tasso di disoccupazione (ufficiale) al 10 per cento. L’inflazione che sale, la classe media che si svuota. La differenza con l’Egitto è che l’Arabia Saudita ha i soldi, e tanti. In dicembre è stato varato un piano di investimenti pubblici per 400 miliardi di dollari, da spendere nell’arco di cinque anni. Il “regalo” di re Abdullah, in un paese in cui i sussidi per il cibo e la benzina sono la norma, dovrebbe ulteriormente placare eventuali insofferenze. Ma potrebbe non bastare». [10]
Note: [1] Roberto Bongiorni, Il Sole 24 Ore 18/2; Maurizio Ricci, la Repubblica-Affari Finanza 7/2; [2] Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore 1/2; il manifesto 1/2; [3] Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore 1/2; [4] Roberto Bongiorni, Il Sole 24 Ore 18/2; [5] Corriere della Sera 15/2; [6] Luigi Grassia, La Stampa 6/1; [7] Gabriele Dossena, Corriere della Sera 25/1; Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore 1/2; [8] Maurizio Ricci, la Repubblica 21/1; Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore 1/2/; [9] Eugenio Occorsio, la Repubblica-Affari Finanza 7/2; [10] Maurizio Ricci, la Repubblica-Affari e Finanza 7/2; [11] Franceso Paternò, il manifesto 7/2.