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 2011  febbraio 18 Venerdì calendario

UN’ALTRA ITALIA

«BISOGNA rassegnarsi e trovare in noi stessi le ragioni di conforto. Che vuoi? La nostra generazione è stata una generazione bruciata; e la colpa non è né nostra né degli uomini, ma delle cose», sono i primi passi di una lunga lettera privata che Mario Missiroli, all’epoca direttore del Messaggero, scrive al suo amico Giuseppe Prezzolini che dal 1929 vive negli Stati Uniti, a New York, dove è stato docente alla Columbia University. I due intellettuali si erano conosciuti all’inizio del secolo, quando Missiroli aveva vent’anni e si avviava a una laurea, che conseguirà all’Università di Napoli sulla cultura filosofica della Destra Storica. Tra i due era germogliata subito una prolifica amicizia intellettuale, due frenetici nel lavoro. Missy, come lo chiamò Prezzolini, collaborò all’avventura della Voce, la rivista culturale prezzoliniana che arruola giovani cervelli del calibro di Einaudi, Amendola, Papini e più maturi pensatori come Croce e Salvemini. L’intreccio di rapporti poi diventa ancora più intenso quando il giovane Missiroli, approdato al Resto del Carlino, chiama a collaborare Prezzolini. Li unisce la battaglia culturale antipositivista e idealista, la speranza di un nuovo Risorgimento capace di fare l’Italia, che nelle loro analisi appare ancora una nazione insufficiente. Missiroli porta in dote a Prezzolini e agli altri giovani intellettuali delle avanguardie una profonda conoscenza di Alfredo Oriani, la sua visione del Risorgimento; ne riceve in cambio la conoscenza, anche personale, di Benedetto Croce, «una vena potente», e soprattutto George Sorel di cui diventerà una sorta di interprete italiano.
Nel 1951, quando scrive questa lunga lettera all’amico Prezzolini, tanta acqua è passata sotto i ponti. Il 15 settembre del 1946 Missiroli ha assunto la direzione del Messaggero, Prezzolini vive da quasi trent’anni in America e come dal titolo di una sua famosa rubrica sul Borghese guarda l’Italia dal cannocchiale. Li separa l’Oceano, «non è escluso che un giorno venga a prendere un caffè da te a New York», li unisce l’amore per la libertà e un certo pessimismo. «Noi ci avviamo ad una graduale proletarizzazione dei ceti medi e ad un ulteriore impoverimento dei ceti poveri. Questo mi preoccupa moltissimo poiché questa è la strada che porta alla catastrofe», scrive Missiroli. E prosegue: «Ho fatto un viaggio di recente nel Nord d’Italia, nel Veneto, e ho notato che le persone di alta posizione sociale, quelle che hanno in mano la cosa pubblica, gli affari, la finanza, tutto, non comprano nemmeno il giornale e quando lo comprano non lo leggono». L’Italiano è sempre colui che nasconde dietro la retorica dei buoni sentimenti una forte dose di cinismo e servilismo.
Da giovane Missiroli aveva coltivato Alfredo Oriani, che frequentava al caffè S. Pietro di Bologna, l’autore de La rivolta ideale è centrale nel prospettare la tesi del “Risorgimento mancato”, o meglio del “Risorgimento tradito”.
A quasi mezzo secolo, dalla Voce, a cui Giovanni Amendola aveva impresso il motto, «l’Italia come oggi è non ci piace», è intatto il tema della fragilità etica dell’Italia, di un Paese che non corrisponde ai sogni di una generazione formatasi sugli ideali del Risorgimento. La delusione soprattutto per il deficit delle classi dirigenti, carenti di quello spirito della nazione che Prezzolini aveva trovato nella giovane democrazia americana e Missiroli in quella antica britannica. Al fondo c’è l’idea di “un’altra” Italia che deve sorgere e ri sorgere e che comunque deve ancora farsi.
L’uno dichiaratamente di destra (Prezzolini scriverà il Manifesto dei conservatori e l’Intervista sulla destra), l’altro liberale irregolare sono uniti oltre che da una forte amicizia, dall’anarchismo che accompagna le reciproche posizioni. La prima lettera fra i due è del 1906, l’ultima è del 1971, nonostante, i reciproci impegni si scriveranno per oltre sessant’anni sempre stimolandosi e pungolandosi. Missiroli racconta la sua vita al Messaggero: «Sto in media dodici ore al giornale e sono le ore della maggiore serenità. Tutto sommato siamo dei certosini sbagliati». Ma il ritmo del giornale non fa venir meno la sua attività intellettuale, proprio in quel periodo ha ripubblicato, con una sua prefazione, le Trasformazioni della democrazia di Vilfredo Pareto. L’economista conservatore era una dei grandi innamoramenti che lo aveva unito a Prezzolini, in particolare condividono la diffidenza paretiana verso i luoghi comuni e la demagogia.
Passate le infatuazioni giovanili entrambi, convergono verso un pragmatismo democratico che li porta a vedere le cose con distacco, uniti da un deciso apprezzamento per le doti di uno statista come Alcide De Gasperi. «La gente si affida semplicemente al Governo e alla democrazia cristiana, che continua a considerare il baluardo contro il pericolo comunista... Nulla è assolutamente mutato», per queste sue considerazioni Missiroli verrà spesso indicato come il maestro di un «acuto senso del reale», di lì a poco lo attenderà la direzione del Corriere della Sera, dal 1952 al 1961, poi il ritorno al Messaggero con la rubrica Calendario.
In quegli anni Prezzolini, che tornerà a vivere in Italia nel 1962 per poi quasi fuggire in Svizzera si ritiene esule volontario, autoesiliato, Missiroli, che pure è l’importante direttore del Messaggero gli scrive: «Facesti bene a passare l’Oceano».