Matteo Indice, Il Secolo XIX 15/2/2011, 15 febbraio 2011
LUCA, DIAVOLO CONVERTITO A DIO
«Buongiorno sorella». Cinque anni dopo, ha perso le movenze del mezzo clochard che si presentava agli interrogatori sgranocchiando focaccia, con un’accusa di omicidio sul groppone e le notti randagie trascorse sui treni. E poi quegli occhi, sempre quegli occhi che non li puoi fissare tre secondi di seguito e te li senti sulla pelle; che ti viene da abbassare il viso e metterti d’istinto una mano davanti alla bocca, con l’unico obiettivo di non sfidare virtualmente l’uomo che sai essere un killer.
Ora che in carcere si è convertito a Dio, e prega e gli danno sconti tanto riga dritto dietro le sbarre, Luca Delfino ha imparato a dialogare con le suore. Con «Buongiorno sorella» si è congedato, ieri pomeriggio, dal carcere di Pontedecimo dov’è al momento detenuto, e da cui lo hanno prelevato per fargli ascoltare la sentenza che lo assolve dal delitto di Genova. Ecco, è questo camaleonte da brividi (le telefonate d’amore a Maria Antonia Multari prima di trucirdarla a Sanremo, le grida «buon funerale a tutti» ai giornalisti che gli facevano la posta durante il processo, l’altro, in cui è stato condannato) colui che alla luce del verdetto pronunciato ieri potrebbe uscire di prigione nel giro di dieci anni.
Come? «Qui entriamo in campo medico», dice oggi il suo avvocato Riccardo Lamonaca, che nei mesi scorsi non aveva fatto mistero di pensare a una terapia choc per renderlo innocuo. Serve dunque la calcolatrice per capire quando, davvero, il “mostro” seminfermo di mente ma con un quoziente intellettivo sopra la media, potrebbe tornare fra noi. Ai sedici anni abbondanti stabiliti dalla Cassazione per il massacro della Multari a Sanremo, ne vanno aggiunti altri cinque di ospedale giudiziario, rinnovabili finché non avrà evidenziato «progressi». I giudici, in sintesi, rimarcano che pure dopo l’estinzione della pena dovranno sorvegliarlo in una struttura specializzata, fino al giorno in cui qualcuno non stabilirà che non è più pericoloso. In teoria potrebbe rimanere tutta la vita in una specie di manicomio, ma diverso è il discorso se dovesse dare segni di «miglioramento».
E qui entra in gioco la medicina, anche perché Genova negli anni scorsi ha già fornito un interessante caso pilota. Quello d’un molestatore di bambine libero in quanto ammansito da un bombardamento di pasticche. Ecco quindi che Delfino, curato e assolto dall’accusa di aver ucciso a Genova nel 2006, estinguerebbe la sua pena ufficialmente nel 2024. Considerato che da almeno un anno è stata riaperta la partita della buona condotta, con i “bonus” maturabili di qui in avanti arriviamo al 2020 e insomma: avrebbe allora poco più di quarant’anni, magari chiedendo già prima un beneficio tipo l’ammissione al lavoro esterno.
Fantascienza? Fino a qualche mese fa si sarebbe detto di sì, ma ora cambia tutto. Per un motivo molto semplice: se persino in primo grado, quando i magistrati hanno avuto davanti agli occhi persone in carne e ossa che parlavano malissimo dell’imputato e della sua ossessione per le donne, non hanno trovato prove sufficienti, difficile possa accadere in Appello dove si ragiona quasi esclusivamente sulle carte. Nella testa contorta del killer (tale rimane per la giustizia italiana avendo ammazzato sicuramente un’altra persona) deve essere passato tutto questo ieri alle 15 mentre lasciava l’aula ghignando in silenzio davanti ai cronisti che gli chiedevano di dire qualcosa. Mai avrebbe taciuto, nel periodo in cui, ancora a piede libero, si dilettava in lunghissime interviste televisive, sfiorandosi di continuo la cicatrice sulla fronte. Ed era così sfrontato da pedinare chi non gli dava ragione, persino davanti alla questura in attesa d’un breve interrogatorio.
Delfino capace di scrivere 140 sms in un giorno, a dieci ragazze diverse, di ammiccare alle agenti donna della Penitenziaria che lo dovevano scortare ammanettato dentro e fuori dal tribunale; Delfino che non ha quasi mai lavorato in vita sua, e rubava le borsette nei vicoli e pippava coca e si ubriacava. E che sotto inchiesta per la morte di Luciana Biggi, la prima, passava settimane intere a girare sugli Intercity, a sbafo come risulta dalle multe che ha preso a Napoli, Avellino, ovunque; Delfino che le donne ha sempre odiato, divorato dal risentimento nei confronti della madre naturale, suicida quand’era un bambino con un colpo di fucile nella cucina di casa; Delfino, proprio lui, che le sue (ex) amanti descrivono sovente vittima di defaillance sessuali, carburato da un mix di frustrazione e possesso capaci di sguinzagliarlo per giorni interi sulle tracce di qualcuna, se osava rifiutarlo. «Tutto pazzo», nella rubrica telefonica di Maria Antonia Multari accoltellata a Sanremo. E però così lucido da aver battuto la polizia, e la magistratura, e l’opinione pubblica. E in fondo, forse, tutti noi che avevamo dato troppe cose per scontate.