FRANCESCA PACI, La Stampa 18/2/2011, pagina 13, 18 febbraio 2011
Sharm, sette giorni di solitudine - Dove si trova Mubarak? Sta bene, è malato, ha già lasciato davvero questa terra, come mormora qualcuno? Sta dettando il testamento o le sue memorie? La sorte dell’ex Presidente è la sola notizia trascurata in questi giorni dai media egiziani, per il resto ansiosi di recuperare a colpi d’inchieste il tempo perduto
Sharm, sette giorni di solitudine - Dove si trova Mubarak? Sta bene, è malato, ha già lasciato davvero questa terra, come mormora qualcuno? Sta dettando il testamento o le sue memorie? La sorte dell’ex Presidente è la sola notizia trascurata in questi giorni dai media egiziani, per il resto ansiosi di recuperare a colpi d’inchieste il tempo perduto. L’uomo che per trent’anni ha pervaso la vita di 80 milioni di concittadini è stato rimosso psicologicamente in una settimana, archiviato senza rimpianti né recriminazioni, libero di aspettare la fine dietro le mura bianche del sontuoso palazzo sul Mar Rosso che gli abitanti di Sharm el Sheikh indicano con commiserazione. L’unica via per avvicinare la residenza estiva del Faraone passa dal Maritim Jolie Ville Golf Hotel, il resort confinante di proprietà dell’amico imprenditore Hassan Salem. Secondo fonti locali, Mubarak non alloggerebbe a casa propria ma in una delle ville del Jolie incorniciate dal deserto, il mare e i campi da golf, sua inguaribile passione. È qui, dove da diversi anni trascorre molto tempo sentendosi più a suo agio rispetto al Cairo, che ieri avrebbe ricevuto la moglie Suzanne tornata da Londra, una delegazione della dinastia reale saudita, i medici di famiglia propensi a trasferirlo a Vienna per garantirgli cure migliori. Il controllo all’ingresso del Maritim Jolie Ville Golf Hotel è a dir poco rigoroso. Comprensibile, la turistica Sharm el Sheikh ha pagato un prezzo gravoso al terrorismo. Ma le domande degli agenti rivelano un livello di sicurezza superiore alla norma: che lavoro fa? dove dorme? perché vuole entrare? prende un caffè al bar e basta? Al primo posto di blocco ne segue un altro e poi comincia il lungo viale costeggiato di palme e buganvillee da cui si accede alle abitazioni. Il taxi accelera davanti alla sola presidiata da tre auto blindate, un passaggio a livello e due blocchi di cemento. Che l’ex Presidente ottantatreenne sia qui? Di certo è in zona, come prova il motoscafo della polizia a pochi metri dalla riva che solitamente vigila sulla sua presenza. «Non so niente, ma che male ci sarebbe? È un uomo anziano e ormai non può più nuocere a nessuno» taglia corto un cameriere giovane sparecchiando il tavolo di vimini con la tovaglia a quadri bianchi e blu. Lo stereo diffonde la canzone dei Police «Every breath you take» nella veranda occupata esclusivamente da una coppia di americani e quattro dame inglesi. Nessuno ha notato movimenti strani, ma può darsi che forse sì, «quel bel ragazzo un po’ stempiato accompagnato da possenti gorilla» fosse uno dei figli. In ogni angolo di Sharm el Sheikh, sulla spiaggia e nel bazar deserto, l’assenza di lavoro lascia il tempo alla speculazione intellettuale. «È stato il figlio Gamal con la sua smania degli affari e la voglia matta di prendere il potere a rovinare il Presidente, per questo ha litigato con il fratello Alaa che lo accusa giustamente di aver condotto il padre all’umiliazione finale» osserva Hassan, commerciante di narghilè nel mercatino di Mull de Arnama. Salah sistema sulle stampelle le tuniche jallabya invendute da due settimane e sospira: «Non dovremmo essere ingrati ora che abbiamo vinto, ha fatto tanto per il Paese anche se da anni pensava solo alla sua cerchia ristretta, dicono che sia un tipo spiritoso». Molti lo ripetono a Sharm, la periferia dell’impero a cui probabilmente il Raiss ha risparmiato il peggio del regime. E lo conferma Montada Elshabab, a lungo corrispondente presidenziale per il quotidiano Al Ahram: «È un uomo spiritoso, amante delle barzellette e delle battute. Una volta disse al ministro Kamal al Shazly: “Ehi, la tua pancia sta crescendo parecchio” e quello gli rispose “È grazie ai tuoi favori”». L’impressione è che rifiutando ben quattro inviti di diversi capi di Stato arabi, tra cui i sauditi, Mubarak abbia preferito il buen retiro sul Mar Rosso perché l’ambiente è meno ostile. «Qualcuno sente davvero la mancanza di Mubarak? La sindrome di Stoccolma è sempre in agguato ma, insciallah, gli egiziani sono guariti» commenta lo scrittore Alaa al Aswani, autore di «Palazzo Yacoubian». La caduta degli dei non lo appassiona: «Se è malato mi rammarico, ma non è colpa della piazza. Non è stato aggredito, né ferito. Tutti dobbiamo morire, anche mio padre è morto. In fondo lui con 70 miliardi di dollari è in condizioni migliori di altri. La storia della sua malattia mi sembra una manovra per commuovere la gente e far rimpiangere il vecchio regime». Il Cairo è lontana da Sharm el Sheikh, molto più lontana delle cinque ore e passa di automobile che separano le due città. Qui la maggior parte degli egiziani ha seguito in televisione la rivoluzione di piazza Tahrir. Accusandone però il colpo. «In nove giorni abbiamo perso un milione di turisti, siamo stati obbligati a mandare il personale in vacanza» confida Sayed Saleh, manager del Marriott adagiato sulla rinomata Naama Bay. Sayed in realtà ha approfittato delle ferie per volare nella capitale: «C’ero, ho manifestato, ho anche partecipato alle ronde che nel mio quartiere hanno arrestato uno dei disgraziati pagati dal governo per aggredire la gente in piazza». Qui però è diverso, non si vedono tank in giro e neppure bandiere egiziane. Il poliziotto che presidia la moschea giura che «è un altro paese» e poi abbandona la volante incustodita per andare a pregare con gli altri. «Dite ai turisti di tornare, da queste parti vogliamo bene perfino agli israeliani» scherza la guida Said ripetendo quel che due giorni fa ha dichiarato a una radio di Tel Aviv. Tra il 25 e il 28 gennaio molti stranieri, consigliati dalle proprie ambasciate, sono partiti. 1 Ora stanno ricominciando a prenotare, prima i tedeschi, poi russi, a fine mese, pare, arriveranno gli italiani. «Sono rimasta a Sharm per tutto il tempo della rivoluzione e non capisco il perché di quel fuggi fuggi da qui dove non si avvertiva un minimo di tensione e dove secondo me la gente locale simpatizza ancora per Mubarak» afferma Margherita Ravelli, 74 anni, attraversando la hall elegantemente arabeggiante del Coral Bay. Dalla vetrata ad arco acuto si scorge la baia sulla cui punta biancheggia il palazzo del Faraone. Oltre al motoscafo della polizia ce n’è un altro, poco distante, sembra militare. Cala il sole sullo stesso orizzonte che l’ex Presidente egiziano vede o immagina dalla finestra. «Mubarak? Se c’è lui vuol dire che questo oggi è il posto più tranquillo del mondo» sentenziano due ragazzi di fronte al tabellonemenu del Viva Beach Restaurant. Non vogliono dare il loro nome. L’accento però suona israeliano.