Giovanni Cerruti, La Stampa 18/2/2011, pagina 8, 18 febbraio 2011
“Silvio adesso si lamenta ma fu lui a esaltare le toghe” - E’ stato quattro volte ministro della Sanità, una dell’Industria, segretario del Pli fino al maggio del ’92
“Silvio adesso si lamenta ma fu lui a esaltare le toghe” - E’ stato quattro volte ministro della Sanità, una dell’Industria, segretario del Pli fino al maggio del ’92. Ha visto cadere la Prima Repubblica, pure a lui sono arrivati avvisi di garanzia, ben 19, e gli è rimasta addosso una condanna piccola e fastidiosa, 8 mesi per un finanziamento di 200 milioni di lire da Montedison. «Sulla magistratura potrei raccontare cose che voi umani nemmeno immaginate. Mi dicono: dài, appena otto mesi, non ci pensare. E io ci penso, perché sono una persona perbene: per pagare le quattordicesime agli impiegati del partito andavo a prelevare i soldi dal conto corrente di mia madre». Mai stato un bacchettone, né un moralista sulle disgrazie altrui. «Andavo al “Tartarughino”, il piano bar dietro piazza Navona. Quante me ne hanno dette per un paio di bicchieri di whisky». Altra epoca. Le cronache mondane, anche le più pettegole, si fermavano sul portoncino. «C’erano belle donne, certo. E tiravamo tardi cantando le canzoni di Sanremo con il duo Antonio&Marcello al piano, sai che peccaminosa trasgressione». Adesso, invece? «Ma adesso invece cosa? Si scopre il filone politica e sesso? E tutti i film degli Anni 70 della serie “All’onorevole piace la gnocca” ve li siete dimenticati?». Sta scrivendo un libro. «Perché voglio che i miei nipoti sappiano che il nonno è stato una persona perbene. E sappiano che la Prima Repubblica è stata ammazzata, che c’è stato un “golpe”, che hanno colpito noi del Pentapartito e salvato ex comunisti, la sinistra Dc di De Mita e quel Msi che campava d’aria, d’amore e lasciti di vedove. Noi vittime della “dittatura della magistratura”, secondo il senatore di sinistra Giovanni Pellegrino. Il risultato è che si è infilato Silvio e in questi anni, senza la politica, c’è stato il “Sacco d’Italia”: l’hanno spogliata e spolpata tutta, Telecom, Autostrade, banche...». Di questo, dopo quasi vent’anni di silenzio, di isolamento volontario, di ritorno agli affari di famiglia, vorrebbe parlare Altissimo. Ma dall’Italia non c’è giorno che non arrivi una nuova puntata di cronaca giudiziaria, con Berlusconi che sembra sempre più in affanno. «Mi capita spesso di pensare ai nostri anni, e alla fine di Bettino Craxi. Perché c’erano anche le telecamere di Mediaset fuori dall’hotel Raphaël, a riprendere quelli che tiravano le monetine a Bettino. E le tv di Silvio ci davano dentro con gli evviva ai magistrati. Oggi lui si lamenta e paga: sono state anche le sue tv a inaugurare tutto questo scempio». L’ha conosciuto bene, il Cavaliere. Nella Roma dei primi Anni 90, alle colazioni del mercoledì con Fedele Confalonieri e Gianni Letta in via dell’Anima, Renato Altissimo aveva un posto fisso. «Ci ha aiutato, non lo dimentico. Gli spot elettorali del Partito Liberale sulle sue reti erano gratis. Ci avesse dato mozzarelle e le avessimo rivendute, negli anni di Tangentopoli saremmo finiti in galera». Ma il Berlusconi politico non l’ha mai convinto. «Con questa legge elettorale, poi, che ammazza la politica: il mio labrador si chiama Kim e lo consiglierei per il Senato: è meno ingombrante di un cavallo, non tradisce e non manda sms». A vent’anni, lui veneto di Portogruaro, ha cominciato a imparare il dialetto piemontese battendo circoli e bocciofile attorno a Torino, a cercare iscritti per il suo Pli. «Ecco perché non mi piace l’Italia di oggi e sono convinto che sia giusto tornare. Perché non c’è la politica, non c’è la passione, non ci sono idee. La Prima Repubblica non è caduta perché erano tutti una massa di ladroni, ma perché la “dittatura della magistratura” ha voluto distruggere e Silvio è stato svelto ad approfittarne. Io ero un giovane ricco che con la politica si è impoverito, e dei miei colleghi di allora nessuno vive da nababbo». L’Italia è vicina, i giornali arrivano, la tv è sempre accesa, il computer anche. Da Londra o Cap Ferrat non si è perso una puntata delle ultime su Berlusconi. E per il vecchio amico non riesce a prevedere un radioso futuro. «Se si dimette si arrende alla magistratura, se resta è uno sfregio alle istituzioni, dipendesse da lui e dai suoi resterebbe lì tutta la vita. Forse dovrebbe andare a elezioni anticipate: “Voglio riformare questa Repubblica Giudiziaria - potrebbe dire -, poi tolgo il disturbo e vado a occuparmi dei miei affari e delle mie Ruby”. E se ogni tanto volesse invitare quelli che andavano al Tartarughino...».