Nicola Bruno, L’espresso 24/2/2011, 24 febbraio 2011
SE IL WEB PIACE AI POTENTI
Gheddafi che definisce WikiLeaks "il miglior strumento per esporre al mondo le cospirazioni americane". Hugo Chávez che sbarca su Twitter e, tra un cinguettio sul suo iPad e l’annuncio di una nuova legge anti-imperialista, ogni giorno "dialoga" con un milione di fan. Il Cremlino che promuove una Scuola di Blogger per lanciare la propria controffensiva on line, a colpi di video virali anti-Georgia, mentre avvenenti Putin-girl spopolano su YouTube. Insomma, siamo sicuri che davvero Internet sia lo spauracchio dei dittatori, come si è detto per la rivoluzione egiziana? O le cose sono un po’ più complesse e anche la Rete può essere efficacemente utilizzata dai regimi autocratici per promuovere la propaganda di Stato tra le nuove generazioni e per controllare meglio il dissenso? "Se un tempo il Kgb doveva far ricorso a lunghe ore di interrogatorio per scoprire le connessioni tra gli attivisti, ora agli spioni di Putin basta andare su Facebook e scorrere la lista degli amici", dice Evgeny Morozov, giovane studioso (di origine bielorussa) degli usi politici della Rete, docente a Stanford e alla Georgetown University, collaboratore di "Foreign Policy" nonché autore del recente "The Net Delusion. How Not To Liberate The World" saggio da poco pubblicato in Gran Bretagna che va decisamente contromano rispetto a quello che lui chiama "il mito occidentale di Internet come arma di costruzione di massa, in grado di liberare il mondo a colpi di Facebook". "L’espresso" lo ha intervistato.
Cominciamo dal titolo: chi sono gli "illusi" della Rete?
"Sono soprattutto i politici occidentali e il loro approccio superficiale a Internet. In molti pensano di poter riciclare le lezioni della Guerra Fredda e quindi dicono che i social network sarebbero come le fotocopiatrici e i fax usati dai dissidenti nel blocco sovietico per far circolare le informazioni. Ma così dimostrano di non sapere affatto come funziona la Rete. Che di per sé non è né buona, né cattiva, ma può essere piegata in direzioni molto diverse tra loro".
Tra gli illusi c’è quindi anche l’amministrazione Obama che pensa di poter esportare la democrazia con l’aiuto delle nuove tecnologie?
"Il famoso discorso sulla "Internet Freedom" tenuto lo scorso anno da Hillary Clinton dimostra una scarsa conoscenza della Rete. Le persone che lavorano sulle politiche tecnologiche al Dipartimento di Stato di solito vengono dalla Silicon Valley e non hanno studiato geopolitica. Promuovono una visione naïf di Internet come strumento che rafforza l’azione collettiva e facilita l’accesso alle informazioni. Ma le cose non stanno affatto così in contesti come la Russia, la Cina e l’Iran".
In che senso?
"I Paesi autoritari hanno bisogno del Web per far crescere la propria economia. Non possono permettersi di restare esclusi dalla rivoluzione digitale. Ma questo non vuol dire affatto che crolleranno sotto l’avanzata di Internet. Anzi, molti dittatori sono riusciti a capire le logiche della Rete meglio dei leader occidentali, addomesticandola ai propri scopi politici: per rafforzare la sorveglianza sociale e per dare ai cittadini più intrattenimento, distraendoli così dalle grandi questioni politiche".
A quali Paesi si riferisce?
"Il precursore è stato senza dubbio la Cina. Ma ora è l’approccio russo che sta ottenendo migliori risultati. A Mosca non c’è censura preventiva, i cittadini possono accedere a qualsiasi sito. Al tempo stesso, però, il Cremlino riesce ad esercitare un forte controllo: i blogger d’opposizione sono spesso isolati e intimiditi, i siti delle Ong ricevono misteriosi cyber-attacchi. Molti oligarchi vicini a Putin, poi, controllano i più grandi colossi hi-tech. Hanno assoldato i migliori guru della Rete che producono contenuti "virali" pro-Cremlino".
Non si può negare, però, l’aiuto che Internet sta dando a molti dissidenti, anche russi...
"Questo discorso vale per lo più per i dissidenti "professionisti", quelli che sanno usare bene le tecnologie per restare anonimi. Cosa succede agli attivisti "amatoriali", alle persone normali che, quando arriva l’ondata rivoluzionaria, utilizzano Twitter e Facebook senza precauzioni? Dubito che siano in grado di utilizzare strumenti per proteggersi. E questo li espone a maggiori pericoli di sorveglianza, come è successo durante la "rivoluzione verde" in Iran, quando il governo ha utilizzato le informazioni pubblicate on line per identificare i dissidenti".
Si riferisce all’uso delle tecnologie di controllo, che vanno sempre più raffinandosi?
"Certo. E questo avviene anche con la complicità dell’Occidente. Le aziende vogliono sapere come gli utenti reagiscono alle campagne di marketing on line e tutto questo sta dando vita ad un gigantesco mercato di "immagazzinamento e ricerca dati" che può essere facilmente utilizzato nei contesti autoritari per rispondere a domande del tipo: "quali blogger anti-governativi hanno più influenza sul dibattito nazionale?". In base a quello che pubblichi su Facebook, i dittatori potranno capire in pochi click se sei un investitore bancario o un attivista per i diritti umani. Nel primo caso ti permetteranno di navigare come vuoi; nel secondo avrai accesso solo a una Rete censurata".
Eppure Twitter e Facebook non ci espongono solo alla sorveglianza di Stato: possono anche aiutare ad organizzare le proteste, come è successo di recente in Tunisia e in Egitto.
"Non c’è dubbio che i social media siano stati cruciali per le mobilitazioni in Tunisia e in Egitto, ma questo è avvenuto anche due anni fa in Iran, senza per questo riuscire a capovolgere il regime. È importante celebrare il ruolo di Internet in Tunisia e in Egitto, ma non possiamo aspettarci che simili rivoluzioni possano avvenire ovunque semplicemente perché i cittadini hanno accesso al Web".
Che cosa ne pensa dell’improbabile "colpo di fulmine" per WikiLeaks da parte di Gheddafi, Chávez, Putin? Nelle ultime settimane si sono tutti sperticati in elogi per Julian Assange...
"Il solo motivo per cui così tanti leader autoritari elogiano WikiLeaks è perché aiuta a mettere in imbarazzo l’America. Se loro stessi fossero l’obiettivo, se ne lamenterebbero a gran voce".
Pensa quindi che i vari WikiLeaks locali che stanno sbucando nel mondo (RuLeaks in Russia, IndoLeaks in Indonesia) non potranno essere altrettanto efficaci?
"Le rivelazioni esplosive di casi di corruzione hanno più impatto nelle democrazie che nelle autocrazie. Si guardi la Russia: il governo non prova nessun imbarazzo a mettere Khodorkovsky in carcere, anche se le accuse nei suoi confronti sono ridicole. L’altro aspetto da considerare è: quanto potranno sopravvivere questi siti di soffiate anonime in Paesi come la Cina o la Russia? Davvero poco, se i governi decidono di bloccarli. Alla fin fine, Assange è fortunato ad avere i suoi nemici a Washington, piuttosto che a Mosca o Pechino".