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 2011  febbraio 18 Venerdì calendario

FEDERALISMO E TASSE LOCALI. GLI AUMENTI COMUNE PER COMUNE

Vista la mala parata, dopo aver spremuto le tariffe, con aumenti che a Enna hanno toccato il 79,3%, l’anno scorso i sindaci di tutta Italia hanno dato fondo al patrimonio. A Milano hanno venduto gli immobili del fondo comunale numero I. Ad Ancona hanno dismesso i depositi dell’azienda di trasporto e la sede del vecchio ospedale al Passetto rischia di diventare in pochi mesi un grande albergo. A Foggia hanno addirittura rispolverato le cartolarizzazioni immobiliari: in pratica hanno venduto interi stabili alle banche. Dice uno studio inedito condotto dall’Ifel, il centro studi dell’Anci, su un campione di 66 Comuni medi e grandi, che in 47 hanno scelto la strada delle dismissioni per fare cassa. «Vendere i gioielli di famiglia in molti casi è stata una scelta obbligata. Bisogna ricordare che nel 2010 i Comuni hanno dovuto subire un taglio non preventivato dei trasferimenti pubblici dell’ordine di un miliardo e mezzo» , spiega il segretario generale dell’Associazione, Angelo Rughetti. Il bello è che d’ora in avanti sarà sempre peggio. Perché i trasferimenti dello Stato saranno aboliti del tutto. I Comuni resteranno allora senza il becco d’un quattrino? Quelli spreconi, può darsi. Argomenta Luca Antonini, presidente della Commissione mista governo-enti locali sull’attuazione del federalismo: «Con i fabbisogni standard, dopo 35 anni avviene finalmente la liberazione dal criterio demenziale della spesa storica che puniva i virtuosi e premiava gli sprechi» . Riassumiamo. Finora lo Stato rimborsava le spese dei Comuni praticamente a piè di lista. In futuro i municipi avranno a disposizione risorse commisurate ai cosiddetti «costi standard» dei servizi. Ciò significa che sarà impossibile per un sindaco pagare dieci quello che vale uno: o dovrà tagliare drasticamente quella spesa o dovrà aumentare le tasse. Già da quest’anno un terzo delle funzioni dei Comuni, cominciando dai vigili urbani e dall’amministrazione locale, sarà assoggettato al meccanismo dei «costi standard» . Nel giro di tre anni anche tutto il resto dovrà andare a regime. Sempre che la tempistica stabilita dal governo venga rispettata. Detta così, sembra una rivoluzione copernicana. In realtà è una rivoluzione all’italiana. Ai Comuni torneranno le tasse sugli immobili, ma non sulle prime case che resteranno escluse. Le entrate comunali arriveranno, dunque, dalle imprese ed essenzialmente dai non residenti. I sindaci avranno a disposizione due nuove leve: l’Imposta municipale unica, sul possesso degli immobili, e l’Imposta secondaria (sulle attività commerciali). Anche se il decreto sul fisco municipale prevede che tutto avvenga senza aggravi per i contribuenti, è chiaro che con il nuovo sistema fiscale qualcuno ci guadagna ed altri ci perdono. L’aliquota dell’Imu è fissata allo 0,76%, ridotta della metà nel caso si tratti di un immobile affittato. Che cosa significa? Ecco un caso concreto: su una casa di 65 metri quadrati nel centro di Milano graverà una imposta di 643 euro l’anno. Oggi il proprietario paga invece, fra l’Ici sopravvissuta sull’abitazione non di residenza e l’Irpef sul reddito da fabbricato, da un minimo di 790 a un massimo di 950 euro a seconda del reddito complessivo. In teoria, quindi, c’è un guadagno che va da 147 a 307 euro. Anche perché l’Imu, oltre all’Ici, assorbe anche la quota dell’Irpef. Peggio sarà invece per le attività produttive. A fronte dell’attuale Ici di 775 euro l’anno pagata in media da un certo negozio di Milano, con l’Imu si finirebbe per sborsare 1.178 euro, 403 in più. Nel complesso, secondo Rete imprese Italia, l’aggravio per tutte le imprese italiane, rispetto all’attuale prelievo, sarebbe di 812 milioni. Ma non è detto che vada proprio così. I Comuni hanno infatti la possibilità di manovrare le aliquote dell’Imu. Il margine d’azione è piuttosto limitato: 0,3%in più o in meno (0,2 per gli immobili locati). E ve lo immaginate un sindaco che decide di tassare di più le imprese del suo bacino elettorale anziché le seconde case di gente che abita chissà dove e non vota lì? Ma chi davvero ci guadagnerà con il nuovo fisco dei Comuni saranno i più ricchi. Attualmente chi affitta una casa paga le tasse in base alla sua aliquota marginale Irpef. E più alto è il reddito, più elevata è l’aliquota. Lo stesso appartamento di Milano di proprietà di un signore che guadagna più di 100 mila euro l’anno, affittato a 800 euro al mese, costa tra Ici e il 43%di Irpef, 4.458 euro. Ma da domani si potrà scegliere di pagare in alternativa all’Irpef una cedolare secca: il 21%della pigione incassata. Conclusione, lo stesso proprietario vedrebbe calare drasticamente tutte le imposte da pagare sulla casa affittata a 2.034 euro. Meno della metà. Questo sistema è stato partorito dopo un lungo travaglio con l’obiettivo di far emergere l’enorme quantità di abitazioni affittate in nero. Pare incredibile, ma le statistiche ufficiali dicono che su 30 milioni di immobili appena 2,7 milioni di abitazioni sono affittate. E ben 4,2 milioni sono «ufficialmente» vuote. Di più. Appena il 7,1%degli immobili affittati appartiene a contribuenti che dichiarano un reddito superiore a 75 mila euro. Il governo stima di recuperare già nel 2011 il 15%dell’evasione per salire al 35%nel 2013. Chiaro che i Comuni, a cui toccherà l’incasso della cedolare secca, dovranno attrezzarsi meglio per scovare i furbi. Perché con la riforma i sindaci che riusciranno a scoprirli saranno premiati più di ora. Già oggi il 30%dell’evasione fiscale recuperata dagli uffici municipali finisce nelle casse del Comune. Domani la fetta salirà al 50%, e non si dovrà aspettare la trafila dei ricorsi e controricorsi, perché l’introito sarà immediato. In più ci sono le famose case fantasma. Di che cosa si tratta? Abitazioni sconosciute al catasto, ma scoperte grazie alla mappatura aerea. Una zona grigia fra l’abusivismo, la «distrazione» e l’inefficienza burocratica. Fatto sta che il loro numero è impressionante: più di un milione, in gran parte nelle regioni meridionali. Ma non solo. Se è vero che a Salerno gli immobili fantasma sono 93 mila e a Milano appena 4 mila, è pur vero che a Treviso, nel profondo Nord, le case sconosciute al Fisco sono ben 31 mila. Anche il maggior gettito dovuto all’accatastamento di tutti questi ectoplasmi andrà in tasca ai Comuni. Ai sindaci arriverà anche una parte dell’Iva. Piccola (pari al 2%del gettito Irpef), ma significativa. E qui si apre un’altra vicenda. Sul perché si sia scelta la «compartecipazione» all’Iva anziché all’Irpef, tassa decisamente più legata al territorio, resta un mistero. Certamente questo presenta qualche problemino, come stanno scoprendo i tecnici del governo. Non fosse altro perché i dati comunali sull’Iva non esistono. E quelli provinciali in fase di elaborazione stanno dando risultati forse non sorprendenti, ma sicuramente sconcertanti. Per esempio, salta fuori che l’Iva riscossa a Crotone, 61 mila abitanti, è la metà di quella incassata a Legnano, città di 58 mila residenti. Una delle tante insidie che nasconde questa riforma. Perché non è scontato che il fondo di perequazione riesca a compensare differenze in taluni casi macroscopiche. Che cos’è il «fondo di perequazione» ? Un gran calderone alimentato da una serie di voci. Per esempio, le imposte sui passaggi di proprietà degli immobili (che per inciso vengono ridotte dal 10%al 9%e dal 3%al 2%per le prime case). Da quel fondo si pescherà per garantire a tutti i Comuni, anche a quelli che non ce la fanno con le risorse proprie, la copertura dei famosi «costi standard» . Ma non più di quello. Il bilancio di tutto questo? Sicuramente un numero minore di tasse: dieci delle 18 imposte comunali attuali saranno accorpate. Una indubbia razionalizzazione del sistema. Quanto sia federalista, lasciamolo dire alla Corte dei Conti. Ecco i suoi dubbi: «Il finanziamento dei servizi comunali ricade soprattutto sui possessori di immobili non adibiti a residenza principale e quindi solo in misura minore sui residenti. Sembra venir meno, quindi, la corrispondenza fra soggetti beneficiari dei servizi e contribuenti, principio cardine di un efficace sistema di controllo e di stimolo all’efficienza gestionale» . Dov’è finito il «vedo, pago, voto» , principio sacro del federalismo?
Sergio Rizzo
Mario Sensini