Roberto Bongiorni, Il Sole 24 Ore 18/2/2011, 18 febbraio 2011
L’INSTABILITÀ ACCENDE GAS E PETROLIO
Febbraio 2011. Le piazze della Libia si incendiano L’opposizione rovescia il regime del colonnello Muammar Gheddafi. Il paese precipita nel caos, la produzione petrolifera si arresta. Marzo 2011. La rivolta dilaga in Algeria. Cade il regime del presidente Bouteflika, il paese è in balia dell’anarchia. I giacimenti di gas e petrolio vengono chiusi in via precauzionale. Aprile 2011. L’Esercito egiziano non riesce a realizzare le riforme promesse, cresce il malcontento popolare. Gruppi estremisti fanno esplodere i vulnerabili gasdotti del Sinai e del resto del paese.
E se accadesse davvero? Lo scenario descritto è certamente catastrofista. Altamente improbabile, ripetono gli osservatori. Ma di questi tempi l’ultima cosa di cui ha bisogno la fragile ripresa dell’economia mondiale è un’interruzione dell’offerta di greggio. E di conseguenza un prezzo del barile che, sospinto dalla speculazione, riprenda a volare. L’offerta mondiale per ora è stabile. Eppure i paesi consumatori non dormono sonni tranquilli. Perché si sa dove è iniziata la rivolta delle piazza arabe - a gennaio in Tunisia - ma non è dato saper quando, dove e come finirà.
Leo Drollas, capo economista del Centre for global energy studies (Cges), un’autorità mondiale nel settore, è cauto: «Libia e Algeria hanno prodotto in gennaio rispettivamente 1,56 e 1,26 milioni di barili al giorno. Anche nel peggiore scenario possibile, un’interruzione dell’offerta dal Nord Africa, la capacità di riserva dell’Arabia Saudita potrebbe compensare». Parole che riportano la calma. Ma non per tutti. Ci sono paesi che potrebbero subire danni maggiori rispetto ad altri. E tra questi c’è l’Italia. Secondo i dati dell’Unione petrolifera italiana, anche nel 2010 la Libia è stata il maggior fornitore di greggio con 18,1 milioni di tonnellate.
Dopo che, nel 2004, gli Usa hanno deciso di cancellare le sanzioni contro Tripoli (togliendola nel 2006 anche dalla lista degli stati sponsor del terrorismo) , diverse major energetiche occidentali sono tornate in Libia. «È un paese con grandi potenzialità – prosegue Drollas - Le sue riserve accertate, 44 miliardi di barili, sono le maggiori in Africa. Senza considerare che una consistente parte del suo territorio non è stata esplorata. Anche se in quantità decisamente minori, il paese è strategico anche per il gas (nel 2009 è stato comunque il quarto fornitore italiano con 9 miliardi di metri cubi, ndr)». È comunque improbabile, anche se non impossibile, pensare che l’opposizione riesca ad avere la meglio su un regime guidato da un leader inossidabile, al potere da 42 anni.
La riottosa Algeria di Bouteflika, presidente dal 1999, è il principale fornitore di gas dell’Italia; 22,7 miliardi di metri cubi nel 2009 (secondo i dati dell’Unione petrolifera italiana). «La sue riserve ammontano al 3,5% circa di quelle mondiali; non è poco. Ma i suoi giacimenti si trovano in zone desertiche, lontane dai centri abitati e sotto stretta sorveglianza dall’esercito», spiega Drollas.
L’Egitto la rivolta l’ha già vissuta. Dopo 18 giorni di violente proteste, l’11 febbraio il presidente Hosni Mubarak, al potere dal 1981, ha ceduto, conferendo i poteri all’esercito. Il futuro del più popoloso paese del mondo arabo resta tuttavia un’incognita. Non è il suo petrolio a interessare i mercati (l’Egitto è oggi un importatore). Ma il suo settore del gas è promettente. Possiede le terze riserve d’Africa. Dal 1998 al 2009 la sua produzione è quadruplicata. L’export è decollato.
Questo il Nordafrica. E se l’effetto domino contagiasse anche i paesi del Golfo? Il piccolo Bahrein, sconvolto da una violenta rivolta popolare, si affaccia sugli Emirati Arabi Uniti e sull’Arabia Saudita, la banca mondiale del petrolio (20% delle riserve mondiali). Paese in cui il malcontento verso la monarchia cresce con il passare degli anni. Poco più in là c’è il Kuwait, con i suoi emiri che non godono certo di grande popolarità. Infine l’Iran, la preoccupazione principe. Il terzo esportatore mondiale di greggio (e il secondo come riserve) è protagonista di un aspro confronto con la Comunità internazionale sul suo programma nucleare. Un conflitto con Usa e Israele - che avrebbe conseguenze catastrofiche - non si può escludere.
Nulla di tutto ciò è accaduto. Ma la tensione nell’aria è tangibile. «Le nostre raffinerie - spiega Michele Marsiglia, presidente della FederPetroli Italia - stanno acquistando grandi quantità di greggio. Si compra un po’ dove capita, per aumentare le scorte». L’Europa, aggiunge, «deve intervenire diplomaticamente, in punta di piedi. L’Iran è un paese delicato, ma un nostro importate fornitore. L’Italia importa circa 160mila barili al giorno di greggio iraniano». «Non ho mai visto - confida Marsiglia – uno scenario così instabile, con in gioco così tanti paesi, nemmeno durante gli shock petroliferi del ’73 e del ’79». «Il problema – gli fa eco Drollas - è che oggi è molto difficile prevedere cosa accadrà. Se dovesse veramente succedere qualcosa in un paese produttore, non si può escludere nulla. Nemmeno che le quotazioni del greggio tornino ai picchi del luglio 2008 (157 dollari al barile, ndr)».