Marco Bardazzi, La Stampa 18/2/2011 - Luca Dello Iacovo, Il Sole 24 Ore 18/2/2011, 18 febbraio 2011
2 PEZZI - APPLE-GOOGLE, PARTE LA SFIDA PER LA "BOLLETTA DEL WEB"
di Marco Bardazzi- Preparatevi ad aggiornare la lista delle voci su cui calcolare il bilancio familiare. Alle solite spese - acqua, gas, telefono - sta per aggiungersi una «bolletta digitale», dedicata ai consumi di informazione di qualità. Febbraio 2011 potrebbe essere ricordato come il momento che ha segnato la morte dell’Internet tutto gratis, con la scelta di due colossi globali, Apple e Google, di darsi battaglia per influenzare le modalità con cui domani leggeremo articoli e libri, guarderemo video e ascolteremo musica.
È stato un sorprendente botta e risposta di annunci e controannunci tra Steve Jobs e i rivali di Mountain View a segnare l’apertura delle ostilità. In ballo c’è la caccia alla soluzione vincente per gestire gli abbonamenti che su computer, cellulari e «tavolette» daranno l’accesso a un nuovo mondo di contenuti digitali. La prima mossa è stata di Apple, che ha creato scompiglio nel mondo dei media introducendo un nuovo sistema di pagamento per gli articoli letti su iPhone o iPad. Il gruppo della mela si propone da tempo come alleato decisivo per i giornali nell’era digitale, soprattutto grazie alle possibilità offerte dal «tablet» che domina il mercato.
Ma Apple ha fatto sapere di volere una fetta consistente - il 30% - dei ricavi provenienti dagli abbonamenti gestiti dal suo negozio virtuale. Di più: la società di Cupertino ha spiegato di puntare alla stessa percentuale anche per altri contenuti digitali diffusi attraverso le applicazioni («app») presenti sul proprio App Store, come musica e video. «È un servizio di abbonamento innovativo - ha spiegato Steve Jobs, in prima linea nell’annuncio nonostante le condizioni di salute - che fornirà agli editori una nuova opportunità per ampliare l’accesso ai loro contenuti digitali». Apple ha dalla sua il fatto di aver già convinto i maggiori editori a convertirsi all’iPad: il più entusiasta è il magnate dei media Rupert Murdoch, che ha appena lanciato un quotidiano solo per tavoletta, «The Daily». Ma la forza di Steve Jobs è soprattutto nei numeri: quasi 15 milioni di iPad già venduti nel mondo e 160 milioni di utenti del negozio online iTunes (generalmente ben disposti a pagare per contenuti digitali di qualità), sono difficili da ignorare. La richiesta del 30% dei guadagni e la tendenza di Apple a gestire gelosamente i preziosi dati personali dei clienti, hanno però prodotto reazioni preoccupate dopo l’annuncio di Jobs. Non solo tra i giornali: «Rhapsody», un servizio che offre musica digitale, ha preannunciato che dovrà abbandonare iTunes se resterà il vincolo del 30%.
Mentre cresceva il coro dei mugugni, con una perfetta scelta di tempo è scesa in campo Google, presentando la propria piattaforma di pagamento di contenuti digitali, One Pass, che prevede un «prelievo» solo del 10%. «È un sistema amico degli editori - ha commentato l’amministratore delegato Eric Schmidt -. Il 10% serve a coprire i costi, in pratica non ci facciamo un soldo». In realtà la società californiana punta a fare ricavi attraverso la vendita di pubblicità e in qualche modo anche ad allontanare l’immagine di «nemica dei giornali» che aveva fino a qualche tempo fa.
Google «offre flessibilità», hanno commentato entusiasti alcuni esperti di media come Joshua Benton di Harvard, e il suo sistema prevede un maggior controllo da parte degli editori dei preziosi dati sugli abbonati. Ma Apple dispone di piattaforme come iPhone e iPad che ormai stanno conquistando il mondo.
Altri protagonisti cercano di entrare nella partita con sistemi di pagamento alternativi, come «Press+» del gruppo Journalism Online. Ma la sfida è solo alle battute iniziali e la risposta su quale soluzione sia vincente la darà solo il pubblico: dopo l’abbuffata del «tutto gratis» di questi anni, è tutta da dimostrare la disponibilità a pagare una bolletta digitale per i contenuti di qualità.
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ABBONAMENTI LOW COST, COSì GOOGLE SFIDA APPLE di Luca Dello Iacovo -
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Questo articolo è stato pubblicato il 18 febbraio 2011 alle ore 06:41.
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MILANO
Il terreno di sfida comune è l’editoria, ma le conseguenze del duello riguardano due visioni dei confini tra web e applicazioni software per smartphone e tablet. Google scommette su un approccio aperto. La sua piattaforma One Pass (annunciata mercoledì) è una sorta di passepartout per leggere giornali e riviste a cui si è abbonati. Una sola registrazione abilita l’accesso ovunque: da siti web, cellulari e tablet. È come acquistare le copie di un quotidiano in edicola, ma le pagine si adattano in modo automatico a display e modalità di accesso differenti. Google, quindi, non cambia strada rispetto al passato. Ha già sperimentato un progetto simile per la vendita di ebook: una volta acquistati, vengono archiviati in una banca dati e i lettori possono sfogliarli in qualsiasi luogo, a patto di avere una connessione a internet. Se nell’edicola in strada è necessario cercare le monetine o le banconote per pagare, con One Pass gli utenti hanno il borsellino elettronico Checkout: si tratta di una piattaforma che gestisce le transazioni economiche, collegata, ad esempio, con la propria carta di credito. Google trattiene una quota del 10% sul valore degli acquisti all’interno delle applicazioni, come gli abbonamenti mensili. Al momento il passepartout per i giornali è aperto soltanto agli editori: inoltre il prezzo della versione di un quotidiano per dispositivi mobili può essere anche più basso rispetto al sito web. È accessibile in Italia e da altre sei nazioni. Al momento non è ancora stata decisa la data di apertura della piattaforma al pubblico di potenziali lettori.
L’edicola elettronica di Google arriva a meno di un giorno dal debutto del nuovo regolamento di Apple per le applicazioni di iPhone e iPad. Gli utenti potranno rinnovare gli abbonamenti senza uscire dai software delle apps: è una decisione che riguarda l’accesso a notizie, musica, video. Ma non si tratta di una scelta obbligatoria: i tradizionali servizi per le sottoscrizioni sono raggiungibili nei siti web di giornali, webradio e piattaforme video. Apple utilizza la ripartizione dei ricavi già impiegata per il suo App Store: trattiene il 30% della transazione anche per gli acquisti all’interno delle applicazioni, come il rinnovo di una abbonamento. Ma con la nuova policy sono vietati i link per contenuti o sottoscrizioni a pagamento verso il web. È una scelta che riguarda anche filmati e musica, per esempio le radio trasmesse in streaming: anzi, ha già preso il via una discussione che vede come protagonisti gli editori di alcuni giornali e le aziende che hanno investito in tecnologie per la distribuzione a pagamento di canzoni e video, come la webradio Spotify e Netflix. Inoltre, secondo il regolamento appena varato, sarà Apple a gestire i dati delle sottoscrizioni nella sua piattaforma: gli utenti, se vorranno, potranno rendere accessibili le informazioni anche a terze parti, come gli editori.
È uno scenario in fermento. Osserva Andrea Rangone, direttore degli Osservatori del Politecnico di Milano: «Il web commerciale non è più giovane, ma in molte nazioni europee ha ancora un mercato limitato: gli app store e i tablet potranno rappresentare un canale nuovo e importante per la distribuzione, ma avranno esiti più significativi fra due o tre anni». E aggiunge: «Ieri abbiamo capito chi sono i due grandi distributori dei contenuti digitali su internet, come notizie, musica, video: Apple e Google».
Le stime di Strategy Analytics rilevano che alla fine dell’anno scorso l’azienda di Cupertino ha raggiunto il 73,5% delle consegne di tablet nel mondo e il 16% nel mercato degli smartphone. Ma avanza rapido il sistema operativo di Google, Android: ha appena varato una distribuzione adattata ai tablet (Honeycomb). Secondo rilevazioni di poche settimane fa in Italia, nel gruppo Espresso arrivano a 1,2 milioni le applicazioni per iPhone e iPad scaricate: i software sono gratuiti, ma in genere richiedono il pagamento dei contenuti, tranne per il settimanale R7, progettato per tablet. I download delle app del Sole 24 Ore (si veda il numero del 17 febbraio) hanno raggiunto quota 160mila: dal quotidiano all’applicazione dedicata ai mercati finanziari Finanza&Mercati fino al primo magazine italiano per iPad "La Vita Nova". Il Corriere della Sera ha raggiunto 136mila download su iPad e la Gazzetta dello Sport 82mila. Ma è uno scenario in continua evoluzione. Aiutare i lettori a leggere senza troppa fatica nel passaggio fra gli schermi digitali è una frontiera che coinvolge alcune start-up in collaborazione con i quotidiani. Il New York Times, per esempio, ha in cantiere un progetto per l’accesso a pagamento dei suoi articoli. E sperimenta Ongo: è una sorta di rassegna stampa personale accessibile da una bacheca, ma si adatta in tempo reale al display.