Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  febbraio 18 Venerdì calendario

AZIONI APPLE GIÙ MA DI POCO. LA FINE DEL CAPO È STATA DIGERITA

«Io e la mia famiglia apprezzeremmo molto se, in queste circostanze, venisse rispettata la nostra privacy». Con queste parole Steve Jobs chiudeva la lettera con cui annunciava, giusto un mese fa, la decisione di lasciare la gestione dell’azienda al suo vice Tim Cook per concentrarsi sulla cura della sua malattia. Non è stato accontentato. Ma Wall Street ha accolto con grande scetticismo lo “scoop” del National Enquirer che dà al fondatore di Apple, sulla base dell’analisi di una foto, solo sei settimane di vita: a metà seduta le azioni dell’azienda dell’iPad, registravano solo una perdita dell’uno per cento. Assai meno del tonfo, il 5 per cento circa, di gennaio, al momento dell’annuncio dello stesso Jobs. Niente di paragonabile, inoltre, al tracollo a due cifre del 2009 quando, dopo mille silenzi imbarazzati, il consiglio di Apple dovette confermare la notizia della malattia.
Stavolta, sembra, la azione potrebbe essere diversa. Innanzitutto perché lo scoop, per sgradito che sia, è caduto in un momento particolare: per ieri sera, ora di San Francisco (ovvero le cinque di stamane in Italia), è annunciato l’incontro
“storico” tra il presidente Barack Obama e tre miti della new economy americana: l’ultimo enfant prodige, il fondatore di Facebook , Mark Zuckerberg, già miliardario sotto i trent’anni, l’ex ceo di Google Eric Schmidt, appena congedato dai fondatori ma comunque figura d grande prestigio oltre che grande elettore democratico. E, soprattutto, lo stesso Jobs, sceso dal suo eremo di San Josè per dare suggerimenti di business al presidente che cerca una ricetta per creare posti di lavoro. Insomma, l’occasione giusta per verificare la salute del signore della Mela.
Ma il calendario prevede, per il giorno 23, un altro appuntamento, altrettanto cruciale: l’assemblea di bilancio di Apple in cui il fondo Calpers, che amministra i fondi pensione dei dipendenti pubblici della California, darà battaglia con una richiesta avanzata prima di Natale. Vogliamo, hanno scritto i gestori di Apple, che in assemblea ci venga anticipata la linea di successione a Jobs alla guida dell’azienda. A questa richiesta il fondatore non ha dato finora alcuna risposta alla richiesta, più che legittima, dei suoi azionisti. Solo in via ufficiosa un portavoce di Apple ha dichiarato che la linea di comando è già definita ma è custodita come una sorta di segreto di Stato per evitare che la concorrenza cerchi di “strappare” a Jobs uno o più manager. Una spiegazione che non convince: chi potrebbe offrire di più, in termini di prestigio e di denaro, dell’azienda dell’iPhone e dell’iPad che, notizia di ieri, controlla circa il 60 per cento del mercato dell’elettronica “touch screen”?
Più facile che Jobs taccia per motivi di scaramanzia. Oppure che, ancora una volta, si prepari a qualche sorpresa per il futuro della sua “creatura”, creata nel 1985 e salvata dal fallimento dodici anni dopo, quando gli stessi dirigenti che l’avevano cacciato furono costretti a richiamarlo. Niente di più probabile che il Boss abbia messo a punto un piano finanziario, con le varie Goldman Sachs o Morgan Stanley, per attutire le inevitabili conseguenze del suo addio. E chissà che altro. Certo, Apple senza il suo fondatore non sarà più la stessa, bensì un’azienda “normale”. Ma anche al momento dell’addio, assicurano nella Silicon Valley, Jobs saprà rivelarsi eccezionale. O farlo cerdere.