Joseph Halevi, il manifesto 18/2/2011, 18 febbraio 2011
MIRACOLO A BERLINO: LA CRISI SI SCARICA IN EUROPA
La vulgata europea, ripetuta anche da Mario Draghi in una recente intervista al Frankfurter Allgemeine Zeitung, è che il modello tedesco segni la strada del successo. Tesi demolita pezzo per pezzo da John Vinocur sull’International Herald Tribune del 15 febbraio. L’articolo apre menzionando un rapporto del Fondo Monetario Internazionale di due settimane fa, in cui si segnalava il riemergere degli squilibri finanziari internazionali su livelli simili a quelli che hanno contribuito alla crisi attuale. I paesi maggiormente implicati sono Cina, Usa e Germania. La maggioranza del surplus tedesco si concretizza nell’ambito della Ue, quindi lo squilibrio prodotto da Berlino - che Merkel rifiuta di riconoscere come un problema di politica economica - pesa prevalentemente sul resto dei paesi dell’Unione europea, senza che questi abbiano spazio di manovra. Il fatto che il Fmi abbia esplicitamente menzionato la Germania dimostra che Berlino non ha seguito l’avviso del gruppo dei G20 (ridurre i surplus esteri aumentando consumi e investimenti interni). Dal canto loro i leader politici ed industriali tedeschi sostengono che i consumi aumenteranno poiché la crescita attuale porterà ad aumenti salariali col miglioramento della situazione occupazionale. Vinocur cita però la valutazione negativa espressa dalla Federazione Tedesca dei Contribuenti, che prevede per il 2011 un calo della paga netta dei lavoratori dipendenti. Inoltre, se si confermassero le stime riguardanti la crescita del pil tedesco al 2,3% per il 2011 ed all’1,8% per il 2012 (contro il 3,6% dell’anno scorso) la disoccupazione cesserà di calare. In tale contesto il giornalista dell’Herald Tribune riporta un’analisi del Frankfurter Allgemeine Zeitung in base alla quale la disoccupazione tocca oltre 4 milioni di persone; mentre, ufficialmente, i disoccupati non sarebbero più di 3 milioni, il 7,4% della forza lavoro. Inoltre, nota Vinocur, nell’ambito dell’Ocse la Germania è tra i paesi ad alto tasso di disoccupazione a lungo termine. Del resto lo stesso ufficio statistico della Repubblica federale, nei suoi dati completi del 2009, assegna un valore molto alto alla disoccupazione tedesca complessiva: 20,1%. Ne consegue che la ripresa della Germania rappresenta un successo per il capitale tedesco, che spera di cavalcare sia la passività e la dipendenza del resto dell’Europa, che l’export verso le zone extra europee. Ma è dubbio che si possa trasferire questo criterio alle condizioni economiche e sociali della popolazione. Sul piano assoluto i livelli tedeschi sono superiori a molti paesi europei, ad eccezione della Scandinavia e direi anche dell’Austria. Tuttavia il ritmo con cui si aggravano la diseguaglianze sociali è più intenso che altrove. Infine lo stesso capitale tedesco poggia su basi fragili dal lato finanziario. Vinocur utilizza un recente rapporto dell’Ocse che individua nello stato del sistema bancario irlandese e nelle banche pubbliche tedesche le condizioni della fragilità finanziaria europea. E riferisce anche di una conversazione avuta con Adrian Blundell-Wignall, vicedirettore della sezione finanziaria dell’Ocse. Per Blundell-Wignall il tasso di esposizione (leverage) della Deutsche Bank è del 250% maggiore della HSBC. Ciò non deve sorprendere perchè durante gli stress test di autunno le banche tedesche hanno barato alla grande, nascondendo i titoli tossici di cui sono piene. Appena il mese scorso, scrive l’International Herald Tribune, Wolfgang Franz, presidente dei consiglieri economici della Cancelleria affermava che non si sa quanti scheletri le banche tengano nelle loro cantine. Dagli anni ’90 in poi, anche in Giappone la montagna di prestiti bancari rivelatisi fallimentari venne nascosta con l’appoggio del governo, mentre la Bank of Japan irrorava le banche private con soldi gratis. Un ulteriore e importante fattore che aiutò le banche nipponiche a galleggiare fu il massiccio surplus nei conti esteri, che significava soldi in entrata nel sistema bancario nazionale. Il ragionamento vale anche per il neomercantilismo tedesco, distruttivo per l’Europa, resasi ancor più impotente grazie alla recente capitolazione della Francia.