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 1973  agosto 19 Domenica calendario

ANALFABETA BORGHESE

Ho conosciuto un medio industriale di provincia (maglieria) sui sessant’anni, completamente analfabeta. Lui ha fatto un discorso che vale la pena di riferire proprio su questa pagina. In sostanza l’industriale «illuminato» diceva, parlando della propria sapienza, che il mondo moderno non ha alcuna necessità di cultura classica e per cultura classica egli intendeva naturalmente saper leggere e scrivere.
Il suo assunto era il seguente: «Personalmente non ho alcuna difficoltà nel lavoro a causa del mio analfabitismo: ho una segretaria, che sa leggere e scrivere, cui detto le lettere e che mi legge le lettere. Ho imparato solo la mia firma: serve per gli assegni. La lettura dei giornali mi è preclusa ma il telegiornale o in generale la televisione mi tiene informato di tutto ciò che mi interessa. Non ho particolari interessi per l’arte, ma vado al cinema e ho visto anche qualche esposizione di quadri all’estero. Parlo il francese e il tedesco. La mia cultura, se così si può chiamare, nasce da un telaio meccanico, in casa, e si è sviluppata via via. Ora ho un’azienda di duecento operai. Non ho mai avuto nessun complesso nei confronti della cultura, cioè delle persone che sanno leggere e scrivere. Anzi, penso che la scuola, cosidetta classica, non sia affatto utile (non per niente c’è tanta crisi nelle scuole), perché, appunto, basata sull’analfabetismo con tutto quel che segue. La parola scritta non ha nessun senso, né alcuna utilità e verrà sostituita con altri mezzi di comunicazione, come in parte è già avvenuto. Giornali e libri scompariranno. L’uomo comunicherà verbalmente, o per mezzo di immagini e suoni. Liberato dalla zavorra culturale avrà un rapporto più stretto con le cose, cioè con gli oggetti che formano la sua conoscenza».
Ho trascritto quasi integralmente le tesi del magliaio filosofo, tesi che si prestano a riflessioni varie. Già ampiamente fatto per quanto riguarda la crisi della parola scritta, ma inedito per quanto riguarda il rapporto tra l’uomo e l’alfabetismo.
Per quanto ne so l’analfabetismo è sempre stato, oltre che una disgrazia, un complesso. L’analfabeta si è sempre vergognato di essere tale e il suo cammino pratico nella vita è sempre stato ostacolato da questa gravissima deficienza. Ma è veramente gravissima deficienza di cui ci si deve vergognare? Stando alla tesi e all’esperienza del magliaio filosofo non soltanto non ci si deve vergognare ma, a suo dire, l’analfabetismo servirebbe a sgombrare animo e cervello da una «meccanica» sorpassata e inutile, vedendolo più atto alle nuove meccaniche e conoscitive e comunicative. In altre parole l’uomo attualmente colto sarebbe analfabeta.
Se ci si guarda in giro, c’è del genio in questo paradosso. Altro punto molto importante è l’analfabetismo in rapporto alla vita sociale. Anche qui, analfabeta, lo dice la parola usata spesso come un insulto, è sempre stato motivo di gravissima difficoltà nei rapporti sociali. In passato erano analfabeti dei contadini, ma appena si saliva un po’ più su del bracciantato agricolo, tutti più o meno sapevano leggere e scrivere. In ogni caso all’analfabeta la vita sociale era preclusa.
Ma in passato non esisteva l’analfabeta borghese, perché dire borghese significava dire non soltanto alfabeta, ma uomo dotato di un minimo di cultura. Nel caso del nostro magliaio filosofo la vita sociale non soltanto non è preclusa ma egli partecipa perché richiesto alla vita sociale dalla sua regione. In altre parole si dà il caso che non sarà unico di un borghese analfabeta, logico e filosofo al tempo stesso. Cioè la nascita di una borghesia analfabeta.
Torniamo alle parole del nostro magliaio. «Molta gente che ha studiato, che ha raggiunto addirittura una laurea, disimpara a leggere e a scrivere perché non ha modo né tempo per farlo. Ripeto, le lettere si dettano, o si usa il telefono o si usa la televisione. Piano piano, col passare degli anni, questi dottori cominceranno a non sapere più scrivere: sapranno però sempre meglio come usare e sfruttare i mezzi necessari al loro benessere. La cultura vera è fatta di cose, da quelle alimentari a quelle di lusso: il resto è passato».