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 2011  febbraio 15 Martedì calendario

QUEL SOGNO DIVINATORIO DEL BANCHIERE MATTIOLI

Questa è la storia di una «intercettazione» d’altri tempi, effettuata da chi scrive, ascoltando una telefonata e prendendo appunti. Siamo agli inizi del ’ 73. Nell’aprile dell’anno prima, dopo un’epica assemblea degli azionisti, Raffaele Mattioli aveva dovuto abbandonare la presidenza della Banca commerciale italiana. Il tandem Andreotti-Colombo, presidente del Consiglio l’uno e ministro del Tesoro l’altro, aveva infatti forzato la mano a Mattioli. Ed aveva imposto al vertice della Comit un candidato esterno, cioè il ragioniere generale dello Stato, Gaetano Stammati (ahimè risultato poi iscritto alla loggia P2). Amareggiato, il banchiere di piazza della Scala si era ritirato in buon ordine, abbandonando tutti gli altri incarichi professionali, tra cui quello di consigliere di Mediobanca, che ricopriva sin dal 1947.
Nel gennaio o febbraio del ’ 73 andai dunque a trovare il quasi settantottenne Mattioli per una visita di cortesia, a casa sua in via Morone 3, nello stesso isolato della Comit. Mancavano pochi mesi alla sua scomparsa, il 27 luglio. Girava nei corridoi anche il cognato Antonio Monti, all’epoca direttore centrale della Comit, che immagino si consultasse ancora con l’ex presidente per alcune faccende di banca. Mattioli indossava un’ampia veste da camera e appariva fisicamente stanco, tra fastidiose febbriciattole e volto mal rasato. Ma la mente era come sempre prontissima. Si parlava, quando all’improvviso volle fare una telefonata. Prese dunque la cornetta e domandò alla centralinista della banca di chiamare Gianluigi Gabetti, all’epoca presidente dell’Ifi, la finanziaria degli Agnelli.
Gabetti era stato assunto dalla Comit di Torino nel ’ 46, ormai prossimo alla laurea in giurisprudenza, e vi era rimasto fino al ’ 58, raggiungendo il grado di vicedirettore. Dopodiché era passato all’Olivetti e poi all’Ifi. Recentemente («Corriere della Sera» , 25 novembre 2007) lo stesso Gabetti ha raccontato a Raffaella Polato il seguente aneddoto. Subito dopo aver dato le dimissioni dalla banca, era stato convocato da Mattioli, il quale gli aveva chiesto un po’ risentito: «Gabetti, ma che diavolo, mi spieghi il perché?» . Al che il torinese aveva risposto: «Presidente, sono qui da dodici anni e solo oggi la conosco» . Mattioli aveva ammesso: «Hai ragione» . E da allora era cominciato un rapporto cordiale tra i due. Questo spiega il tenore della telefonata, assai rivelatrice del carattere estroverso del banchiere.
Centralino Ifi: «Il dottor Gabetti in questo momento è in riunione, non posso disturbarlo per alcun motivo» .
Mattioli: «Gli dica che lo cerca il dottor Mattioli» .
Gabetti (pochi secondi dopo): «Eccomi. Come sta, dottor Mattioli?» .
Mattioli: «Ciao, caro. Bene. Scusami se ti disturbo, ma stanotte ho fatto un sogno. Salivo in macchina su per la collina sopra Torino, dove abiti tu, e in prossimità della tua villa osservavo ai bordi della strada dei grossi mucchi di ghiaia. Allora mi sono domandato: che ci stanno a fare?» .
Gabetti: «In effetti, dottor Mattioli, il vialetto d’accesso era piuttosto malandato, così ho deciso di sistemarlo, sostituendo il vecchio pietrisco; e i lavori sono cominciati proprio in questi giorni!» .
Mattioli: «Grazie, caro, avevo proprio bisogno di sapere se le mie capacità stregonesche erano rimaste intatte. Ti saluto, e a presto» .
Fu l’ultima volta che ne ascoltai la voce suadente.
Sandro Gerbi