Ugo Tramballi, Il Sole 24 Ore 15/2/2011, 15 febbraio 2011
L’EFFETTO DOMINO ARRIVA NEL GOLFO
Non meno di 31 scontri nelle università giordane solo nel 2010. Blogger contro Fratelli musulmani, sinistre contro polizia? Forse i prodromi della rivoluzione egiziana. No. Hamaideh contro Bani Sakhr, Huvaitat che affrontano Beni Hassan. È il tribalismo dei loro padri che anima gli universitari giordani, non la democrazia.
«Il cittadino arabo non è lo stesso di due mesi fa», dice correttamente Paul Salem del Centro studi Carnegie per il Medio Oriente. Qualcosa è definitivamente cambiato e le classi dirigenti di ogni orientamento sono obbligate a tenerne conto. Ma non sarà ovunque la stessa cosa perché la regione non è uguale dal Maghreb al Golfo Persico. Ci sono paesi alle soglie dell’esplosione, paesi dove accadrà poco e altri dove gli innovatori sono i regimi e i conservatori chi rappresenta la società civile.
Se per noi, a poche miglia marine dal problema, l’unità di misura è diventata una nuova inaspettata migrazione, le prospettive non sono buone. Algeria e Marocco, giusto dall’altra parte del Mediterraneo, sono le più pronte a un contagio tunisino-egiziano. Potere centrale forte, modernismo forzato ma irrealizzato, disparità sociali e grande povertà. I due paesi più a rischio sono quelli con una tradizione migratoria verso le nostre coste, insieme a tunisini ed egiziani. Probabilmente anche la Libia, se fosse possibile saperne di più dall’equivalente mediorientale della Corea del Nord.
Tutto il resto sono altre storie. Anche gli altri due paesi più a rischio a est dell’Egitto non sono paragonabili con il Maghreb a ovest. Lo Yemen è un intreccio di tribalismo, settarismo religioso, irredentismi e modernizzazione fallita. I riformisti manifestano da settimane (ieri ci sono stati nuovi scontri) senza ottenere risultati egiziani a causa di questa frammentazione. Ali Abdullah Saleh ha fatto importanti concessioni e, se non basteranno, il regime lo sostituirà con qualcun altro. L’altro paese in pericolo è il Bahrein: la monarchia è già costituzionale ed è sunnita ma il 70% della popolazione è di fede sciita: parte di origine iraniana, la borghesia mercantile; parte indigena, il settore più povero ed emarginato della società. Sono loro ad aver organizzato ieri la "giornata della rabbia" finita con un morto e almeno venti feriti tra i manifestanti. Ma la questione sociale si confonde con l’espansionismo iraniano, una delle grandi crisi regionali che hanno un forte condizionamento sui processi democratici.
Come la Siria: storicamente una società civile ampia, una modernizzazione economica relativa e una politica inesistente. Ma il regime può contare sugli altri due grandi conflitti regionali, coagulando consenso attorno al Golan occupato dagli israeliani e alla lotta per il controllo sul Libano che per i siriani è una creazione francese sottratta alla Grande Siria. Per una strada simile arriviamo alla Giordania, dove nelle università il vuoto della politica, imposto dall’allontanamento dei partiti, è stato riempito da un tribalismo poco più che adolescenziale. Qualche anno fa re Abdullah aveva proposto un piano graduale di riforme alle quali ha rinunciato sotto la spinta delle tribù transgiordane, il cuore della monarchia hashemita. La composizione territoriale dei collegi elettorali continua a privilegiare le tribù. Se la Giordania adottasse una democrazia compiuta, i palestinesi, che sono il 70% della popolazione, determinerebbero la composizione del parlamento, non le famiglie beduine. Fino a che in Cisgiordania non nascerà uno stato palestinese, non sarà chiarita la fedeltà nazionale dei palestinesi di Giordania. Fino a che non accadrà, la democrazia resta ostaggio del conflitto.
Lo scarso mezzo milione di qatarini non pagano l’acqua, l’elettricità, le spese mediche e vanno gratis a scuola fino alla laurea. In questo come negli altri emirati del Golfo, gli unici ad avere ragioni per manifestare sono gli immigrati asiatici mal pagati e senza diritti. Il Kuwait ha il primo parlamento eletto del Golfo che regolarmente vota contro i tentativi dell’emiro di elevare il ruolo delle donne. Come il re saudita, in una misura molto più conservatrice. Il problema dell’Arabia Saudita è di avere una monarchia gerontocratica dai meccanismi di successione antiquati e una popolazione molto giovane. Ma ad eccezione di un piccolo gruppo agguerrito di blogger, è una popolazione passiva alla quale il governo sta costruendo università modernissime e gigantesche. In un regno molto conservatore, giovani compresi, l’unica possibilità di rinnovamento sono le riforme, anche se impercettibili per un occidentale, di un re ottuagenario.