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 2011  febbraio 13 Domenica calendario

ALESSIO BONI

Il ristorante sotto casa, a due passi dal Pantheon, è il suo studio. La casa vera, invece, è un bilocale all´ultimo piano che lo accoglie come una tana da dodici anni. Alessio Boni, attore, quarantaquattrenne dallo sguardo blu, non ci pensa proprio a prendersi un appartamento più grande: «Non vedo perché dovrei cambiare, dopo aver girovagato per anni ho trovato questo rifugio e non m´immagino in nessun altro posto, del resto sono sempre fuori per lavoro e se devo incontrare qualcuno in questo ristorante mi trovo benissimo». Lui, casomai, ha altri desideri: «La mia febbre è di diventare un uomo migliore di quello che sono oggi».
Arriva trafelato, giacca sulla spalla e camicia color notte, i camerieri lo chiamano Alessio, lo accolgono come un figlio e sanno cosa mangerà. Insomma Alessio Boni, bresciano di Villongo, sembra diventato un romano di Roma: «Sono appena arrivato dalla Toscana e domani all´alba riparto, la mia è una vita da zingaro ed è per questo che ho bisogno di un punto fermo». Spostandosi tra Brescia, America, Milano e Roma, dai quattordici ai venticinque anni, è stato piastrellista, baby sitter, animatore, pony express, attore di fotoromanzi e poliziotto: «Aver cambiato mille mestieri, e soprattutto venire dal proletariato, mi ha dato la certezza che qualsiasi cosa mi succederà posso tornare a fare il cameriere». La volontà, soprattutto quella, ad Alessio Boni non è mai mancata. «Ho iniziato ad andare in fabbrica a quattordici anni, con mio padre che faceva il piastrellista, frequentando la scuola di ragioneria serale. E naturalmente non mi piaceva fare il piastrellista e neppure studiare ragioneria. Allora mi vergognavo rispetto a quelli che venivano dal liceo classico, ma adesso ho capito che la famiglia è stata la mia forza. Come ha detto una volta Roberto Benigni, "ringrazio i miei genitori perché mi hanno fatto conoscere la povertà"».
Boni ragazzo era un irrequieto. Con una sola via di fuga: una vespa scalcinata. «Mi eclissavo per ore con le mie due ruote finché ho capito che non ce la facevo più e ho fatto domanda come poliziotto. In polizia ho resistito per un anno e mezzo poi mi è tornata la stessa voglia di scappare e sono andato in America». Negli Stati Uniti ha imparato ad arrangiarsi: «Non mi sono tirato indietro davanti a nulla, sono stato lavapiatti, di nuovo baby sitter e distributore mattutino di giornali. Non riuscivo a trovare la mia strada e così sono rientrato a Brescia dove i miei mi guardavano sempre più insospettiti». A quel punto, come spesso succede, lo ha salvato il caso. «Ho letto l´annuncio di animatore per un villaggio turistico e sono ripartito verso il mare». Quelle serate sono state il suo primo ingresso nel mondo dello spettacolo. «Qualcuno mi aveva notato e consigliato il centro sperimentale, così ho mandato il curriculum e, alla prima risposta positiva, sono arrivato a Roma dopo una fatidica discesa in Panda da Villongo. La selezione prevedeva la scelta di dieci candidati e io, naturalmente, sono arrivato undicesimo. In commissione c´erano Giulietta Masina e Luigi Comencini, mi sentivo male dall´emozione e, appena ho aperto bocca, mi hanno subito chiesto: "Bergamo o Brescia?" Avrei voluto sprofondare. Come se non bastasse mi ero presentato portando un dialogo di coppia senza pensare che mi mancava qualcuno che facesse la spalla».
Nonostante quegli inizi, Alessio Boni non ha più lasciato Roma. C´era qualcosa in quella città che lo ha convinto a fermarsi: «I primi giorni mi sono iscritto in una palestra per farmi la doccia a cinquantamila lire al mese e la notte dormivo in macchina. Poi abbiamo preso una casa in cinque e ci sono rimasto per anni. Una sera un amico mi ha invitato a teatro per vedere La gatta cenerentola ed è stato un colpo di fulmine. Ho pensato per quattro ore che volevo fare soltanto quello».
Dopo aver passato le selezioni per una scuola privata di Alessandro Fersen, ed essersi esercitato per perdere quel maledetto accento dialettale, ha deciso di provarci di nuovo. Ha tentato l´Accademia nazionale d´arte drammatica e, questa volta, è stato preso al primo colpo. «Ho avuto dei grandi maestri da Ronconi a Strehler. Lavorare con Strehler è stata una grande fortuna, grazie a lui capivo le cose, entravo nei codici e improvvisamente mi sono sciolto. Anche oggi sono un artigiano delle parole e cerco, quando mi esprimo, di toccare il pubblico».
A ventinove anni Alessio Boni è salito sul palcoscenico per recitare L´avaro di Molière: «Che avevo fatto la scelta giusta l´ho capito molto dopo, quando ho sentito che la parola cominciava a farsi urgenza della carne». Il teatro gli ha regalato incontri indimenticabili. «Mastroianni e Gassman erano grandi e mai aridi: per essere un bravo attore ti devi sensibilizzare e conoscere l´arte. Chi recita deve saper contemplare la vita e poi riuscire a portarla in scena». Nel tempo libero leggeva qualsiasi cosa, naturalmente ad alta voce per aggiustare la pronuncia: i russi, Dante, Leopardi.
Poi, dopo il teatro, si è avvicinato alla televisione con il giallo La donna del treno. «La televisione è un grande calderone dove si può trovare di tutto, anche cose bellissime. Io per esempio non ho niente contro il reality, ma non è giusto che ci sia solo quello perché tutti devono disporre con un clic di un contenitore vario». Poi è arrivato al cinema. Dove siete? Io sono qui di Liliana Cavani, Senza paura di Stefano Calvagna, La bestia nel cuore di Cristina Comencini, Arrivederci amore ciao di Michele Soavi ma, soprattutto, La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana. Quello è il film che gli ha cambiato la prospettiva. «La differenza per un attore arriva quando ti chiamano per proporti i provini o sei tu che ti candidi. Io ho amici bravissimi che ancora oggi sono costretti a mettersi in fila per una parte. Spesso, purtroppo, i furbi vanno più avanti dei bravi». Nel 2003 si è preso una pausa obbligata dal teatro, cinque anni: «Quando fai tanto cinema non riesci a conciliare le cose, il teatro ti assorbe continuamente però nel 2008 mi è venuta una gran voglia di tornare sul palcoscenico e l´occasione è arrivata grazie al regista Roberto Andò e Il Dio della carneficina e, per due anni, sono stato in tour con Silvio Orlando e Anna Bonaiuto». Del teatro apprezza, più di ogni altra cosa, l´immediatezza del rapporto con chi lo guarda: «Se non la dai a bere e ti butti dentro con tutta l´anima, il pubblico lo percepisce. Quello che semini resta: fare l´attore non è come il ballerino o il calciatore, puoi avere soddisfazioni a ottant´anni come a quaranta». Per Boni la chiave del suo lavoro sta tutta in una frase di Goethe: «Vorrei che il palcoscenico fosse stretto stretto come la corda di un funambolo, così nessun incompetente ci si avventurerebbe».
Tra il primo e il secondo piatto arriva il cameriere e lo prende in giro: «Finalmente mangi con una donna… Questo sta sempre da solo o al massimo viene con Bin Laden». Boni ride di gusto: «Bin Laden è un mio carissimo amico, un attore con la barba, uno di quelli che oggi è in fila per un provino. Speriamo che vada bene». Suona il telefono e si scusa ma si capisce che è felice della telefonata: «Tra poco dovrò andare perché sono venuto a Roma per incontrare Margarethe Von Trotta. Gireremo insieme Il viaggio di Teresa, un film dove interpreto il ruolo di un medico che esercita sulla moglie una violenza psicologica».
Alessio Boni non insegue il successo. Anzi. «Se mi proponessero cose di qualità ma senza successo direi comunque di sì, mentre se mi offrissero trenta puntate per una cosa che non mi piace, ma mi fa pagare il mutuo, direi di no. Non soffro il rapporto con il denaro perché nella vita ho sempre guadagnato. Tutti credono che il piastrellista sia un mestiere da sfigati, ma invece uno poteva guadagnare anche cinque milioni di lire al mese».
Il grande pubblico lo ha amato tantissimo nel ruolo disperato di Matteo Carati, il protagonista tormentato de La meglio gioventù. Quello che la sera di un capodanno qualunque si butta dalla finestra. «Quando ho fatto il provino ho riso e pianto insieme, Marco Tullio Giordana era preoccupato che non sapessi come fare il poliziotto poi quando gli ho detto che ero stato un anno e mezzo in polizia mi ha abbracciato. Per un anno ho avuto una piccola depressione e, forse, in Matteo ho messo quella parte di me stesso. Probabilmente in ogni attore, come in tutti gli artisti, c´è una componente di tormento, altrimenti avremmo fatto altro». Quando è stato male ha trovato grande conforto nel fratello più piccolo. Si chiama Andrea ed è un prete. Con lui parla volentieri perché, dice, è un tipo aperto. Ama anche discutere con gli amici che magari non vede per due anni ma sa che ci saranno sempre. Per il resto Alessio Boni non è un uomo mondano: «Andare in quei salotti, non so... Non c´è niente di male ma mi annoio e mi sembra di buttare il tempo. Adesso ho preso una cascina in Toscana e se ho tempo libero mi piace andare lì, raccogliere i funghi, occuparmi dell´orto e della legna, stare con i contadini e pensare ai lavori di ristrutturazione». Sentimentalmente è un irrequieto e, della sua vita privata, non parla e non si parla. Un figlio però lo vorrebbe, senza esitazioni: «Siamo tutti troppo concentrati su di noi. Quando arriva la persona giusta avere un bimbo ti ridimensiona l´attenzione e, soprattutto, ti scioglie l´anima».