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 2011  febbraio 13 Domenica calendario

ZAVATTINI RISORGIMENTO IN CARTOON

Cavour fece l´Italia, Carosello fece gli italiani. Solo un intellettuale "trasversale" come Cesare Zavattini poteva congiungere le estremità di cent´anni d´Italia unita. Nel 1961, assieme al re dei caroselli Roberto Gavioli, lo fece in un geniale cartoon che resta lo spot più colto e antiretorico mai concepito sul nostro Risorgimento. La lunga calza verde, ventiquattro minuti di storiografia disegnata, animata e musicata, ebbe premi e riconoscimenti quando uscì, nel 1961, per il centenario patriottico, poi come capita alle cose geniali tornò alla semiclandestinità; riemerge cinquant´anni dopo, per quest´altro compleanno che incombe, nello splendore dei colori restaurati dall´Istituto Luce, ed è un evento, anzi di più: è un godimento. Basta vedere un Ceccobeppe panzone danzare una Marcia di Radetzky virata in valzerino, poi strombettare un proclama contro la plebaglia italica, poi trasformarsi in una panciuta bombarda per cannoneggiare i piemontesi; basta vedere il mantello infuocato di Garibaldi scivolare sullo Stivale, trasformando i pastori in picciotti e i borghesi nei Mille; bastano poche sequenze per capire che c´era e c´è un altro modo di raccontare un´epopea nazionale, ridendo senza irridere, celebrando senza ingessare.
Gioiello nato per caso. La storia del film è stata ricostruita con pazienza da Giorgio Boccolari, curatore dell´Archivio Zavattini presso la Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia. Roberto Gavioli all´epoca era un uomo arrivato: la sua Gamma Film aveva creato un genere cinematografico inedito, il cartoon da due minuti e quindici secondi richiesto dal format di Carosello. Dalla fantasia sua e del fratello Gino nascevano i personaggi di un olimpo protoconsumista: Gregorio «er guardiano der Pretorio», Mammut Babbut Figliut, il vigile Concilia... Ma Gavioli era uno spirito inquieto, voleva lasciare una traccia oltre la storia della réclame all´italiana: «un lungometraggio» vero, serio, da proiettare nei cinema come quelli Disney, ma gli mancava lo spunto. Incontrò l´uomo giusto. A Suzzara, una sera, invitati a cena da un amico comune. Zavattini amava i fumetti da quando, dirigente Mondadori, scriveva sottobanco storie per gli albi di Topolino. Pensava fossero «una lingua contro il potere». E ce l´aveva, un soggettone per Gavioli. «Potevo farlo con Rossellini o De Sica, lo realizzerò con questi ragazzi». Veramente il Risorgimento non c´entrava ancora, Zavattini aveva in testa il racconto irriverente e grottesco di una giornata di vita italiana, ne scrisse venti pagine, lo titolò Buongiorno Italia e Gavioli cominciò a lavorarlo, sennonché mancavano i soldi, mentre un finanziatore c´era, la Incom, quella dei cinegiornali, ma solo per un film sull´epopea patriottica, per le celebrazioni del ´61. Bene, via col Risorgimento, ma di questa virata non resta nulla di scritto, perché Zavattini ci lavorò di persona, negli studi milanesi della Gamma, gomito a gomito con Giulio Cingoli e altri disegnatori, o più spesso al Cantinone, tra grappe e grandi risate con un Gavioli sempre più entusiasta, come questi ricordò prima di morire nel libro Scatola a sorpresa di Marcello Zane.
Ma non è un Risorgimento da burletta che Zavattini presta ai pennelli di Carosello. Sorretto dall´ironica colonna sonora di Giampiero Boneschi, tracciato in uno stile modernista più debitore a Hirschfeld che a Disney, il racconto è lucido e più profondo di quel che potrebbe apparire. Austriacanti tronfi ispirati alle caricature dell´Ottocento. Carbonari descamisados e barbudos (Zavattini era reduce dalla Cuba neocastrista), il cui eroico spontaneismo soccombe sotto le baionette e i baffi a manubrio dell´oppressor; Mazzini austero ma impotente scrive Italia col sangue sul muro; infine, Cavour in una Torino da stampa popolare si gratta la testa, medita, infine decide di cavalcare l´onda. E qui il vento cambia, i patrioti vestono la divisa, le insurrezioni disastrose diventano guerre d´Indipendenza vittoriose, sui campi di battaglia i valorosi caduti risorgono all´istante come monumenti di bronzo, il Tessitore sferruzza e la calza verde a forma d´Italia si allunga e si completa. E questa, a pensarci bene, è l´interpretazione gramsciana del Risorgimento come rivoluzione mancata, come unificazione borghese dall´alto. Però l´Unità non lo capì, trovò il film «retorico» e «di mordente piuttosto scarso».
Ultima genialità di Zavattini cartoonist: otto dei ventiquattro minuti del film, un lungo prologo, non parlano dell´Ottocento ma dell´Italia del boom, calano dalle Alpi nuove torme di stranieri, invadono il Belpaese sui torpedoni, poi tornano portandosi via il Colosseo, la Barcaccia e altri souvenir di un´Italia da Pulcinella. È il residuo della prima versione del film, Buongiorno Italia, ma usato con sapienza. Una voce fuori campo, all´ultima inquadratura, sentenzia: «Abbiamo fatto l´Italia Unita, sta a noi farla ricca e felice». Di quei monumenti, sembra chiederci beffardo Za, di quell´Italia scritta col sangue sui muri, cosa è rimasto cent´anni dopo, solo uno sfondo per gli autoscatti dei nipotini di Ceccobeppe? Era questo il destino della calza verde? Ne valeva la pena?