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 2011  febbraio 13 Domenica calendario

L´UOMO CHE GUARDA LE FOTO DEL MONDO

Washington
«non posso dire quali siano le mie immagini preferite, in un archivio così sterminato. Però, certo, ho un debole per le autocromie, come queste. Le quattro persone che suonano e bevono vino nell´Auvergne, l´uomo algerino con la dama europea sotto le palme, il ritratto della ragazza spagnola con il ventaglio. Sono semplici momenti di vita quotidiana, ma ti fanno sentire come se fossi davanti ai capolavori del Rinascimento italiano, o alle tele dei maestri fiamminghi». A parlare è Bill Bonner, archivista della National Geographic Society. E le autocromie sono le prime fotografie a colori, realizzate con un complicato procedimento brevettato dai fratelli Lumière nel 1903 che lasciava l´immagine impressionata su una sottile, fragile lastra di vetro ricoperta di granelli di fecola di patate.
Cinquantacinque anni, una laurea in musica alla modesta Shepherd University e una passione smodata per il jazz, ogni mattina Bill sale sul treno dei pendolari dalla cittadina del Maryland, dove è nato e vive, per percorrere i cento chilometri che lo separano da Washington. E dopo due ore di viaggio, che fanno quattro con il ritorno, si rintana al piano interrato della Society, dove da ventotto anni è il custode del più prestigioso archivio fotografico del mondo: otto milioni di diapositive, 500mila stampe in bianco e nero, dodicimila illustrazioni - alcune delle quali, dei primi del Novecento, addirittura a tempera su tela - e quindicimila delle sue amate autocromie. Perché nell´ambizione della National Geographic Society di documentare ogni angolo di mondo c´era, e ancora c´è, l´esigenza di essere al passo con le più sofisticate tecnologie. E il colore, all´inizio del Ventesimo secolo, era il massimo lusso che ci si potesse permettere.
Separato da ogni altro ambiente da doppie porte a tenuta stagna, l´archivio storico - che racchiude un inestimabile patrimonio di immagini dalla fine dell´Ottocento agli anni Settanta - è mantenuto a una temperatura costante di diciotto gradi e al trentacinque per cento di umidità, per preservare il più a lungo possibile i materiali dal degrado. E le fotografie sono religiosamente classificate e conservate in scaffali alti cinque metri che si spostano solo grazie a un meccanismo elettronico. Quando non ci sono ricerche in corso, gli scaffali si affiancano compatti perché, altro trucco quasi maniacale, meglio che le foto non siano esposte alla luce e all´aria.
Chiuso nel suo regno sotterraneo, Bill Bonner ammette di non essere un gran che, come fotografo. Troppo impegnativo, solo qualche scatto per ricordo di tanto in tanto. E non ha nemmeno viaggiato molto. Eppure non c´è altra persona al mondo che abbia l´opportunità di viaggiare quanto lui, nello spazio e nel tempo. «Ogni giorno ho la fortuna di vedere il mondo com´era negli anni Cinquanta, o magari come lo vedevano i viaggiatori dei primi anni del secolo e anche prima. È un´intimità con il passato che pochi possono avere».
Sul finire dell´Ottocento, molti facoltosi americani si imbarcavano per il Grand Tour e vagabondavano per l´Europa per mesi, se non per anni. «Una delle collezioni più singolari è una donazione di un ricco avvocato di New York che, sposatosi nel 1878, si concesse una luna di miele di quattro anni in Europa. E le fotografie sono una clamorosa testimonianza di quella lontana età del viaggio. La National Geographic Society non era ancora nata, ma oggi quel frammento di storia è qui con me».
Certo, il mondo si è rivoltato come un calzino, da allora. Non c´è più un angolo di pianeta da esplorare, e basta una macchinetta digitale perché tutti ci sentiamo testimoni della Storia. Ma l´avvento dell´era digitale non spaventa Bill Bonner. Anzi, è una nuova opportunità. La Society ha avviato il monumentale processo di digitalizzazione dell´intero archivio, a cominciare dai materiali più compromessi. «Spero che l´operazione possa procedere rapidamente, perché a mano a mano che i file vengono archiviati possiamo trasferire gli originali in un ambiente che permetterà di prolungarne la vita ancora più a lungo».
E da qualche anno a questa parte la sempre più diffusa passione per le immagini vintage ha dato a Bill il suo bel daffare. Libri, rubriche di taglio storico sul National Geographic, mostre. Non c´è giorno che non debba scartabellare disperatamente tra i suoi scaffali per esaudire le richieste più bizzarre in cerca di qualche scatto d´epoca. Ma c´è una missione che sente ancora più sua. «Tutti conoscono le foto del National Geographic, ma quasi nessuno sa il nome di molti dei nostri grandi fotografi del passato. Gente che faceva sacrifici immani per raggiungere luoghi inaccessibili, e che ha avuto una vita avventurosa oltre ogni immaginazione. Ecco, prima di andare in pensione vorrei rendere giustizia a questi pionieri». Prima che le doppie porte dell´archivio, ormai elettronico, si chiudano per l´ultima volta alle spalle del custode della memoria.