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 2011  febbraio 14 Lunedì calendario

LINKIESTA, LA VOCE LIBERA DEGLI INDUSTRIALI

«Gli operai cinesi sottopagati da Piaggio». Sarà stato contento Roberto Colaninno, presentato in elegante foto con due Vespe. «Mirafiori è già in dismissione, nascerà un museo». Il grande capo italocanadese della Fiat sarà stato pure lui felicissimo, tanto più che «Piano industriale tradito, il compenso di Marchionne sale». Non parliamo poi del presidente della Camera, grande estimatore della signora: «Vicino al laico Fini resta il filosofo dell’Opus Dei». Evviva. Ce n’è anche per i padroncini dell’EmiliaRomagna, che la stessa signora guida: «L’imprenditore emiliano è lontano dall’iPad».
Se qualcuno aveva dei dubbi su Anna Maria Artoni è servito: Linkiesta, il giornale on line che l’ex presidente dei Giovani Industriali ha appena avviato insieme a un pool di amici, non ha timori né prudenze verso quelli che dovrebbero essere i riferimenti per ogni imprenditore nell’Italia di Berlusconi ma che di Berlusconi non si accontenta certo. Sogna un domani e sferza chi questo futuro dovrebbe costruire. Dai cinesi operai agli emiliani padroni, sfilano i titoli che nelle prime due settimane hanno aperto il quotidiano onlyweb, primo esperimento in Italia in grande stile, subito con successo. Al giorno 52.034 visite, 30.722 visitatori unici assoluti, 144.643 visualizzazioni di pagina.
«Se una radio è libera/ ma libera veramente/ piace anche di più /perché libera la mente», cantava Eugenio Finardi negli anni 70. Anna Maria Artoni per età (è del ’67) non lo ricorda probabilmente, comunque parla di «giornale non generalista, ma dedicato a forme di approfondimento in tutti i campi, economico, sociale, culturale». Proprio per questo «giornale di prospettive». Con «assoluta libertà per il direttore», chiarisce Anna Maria Artoni. Che aggiunge: «Non è noto? Il direttore si fa con il prodotto. Tondelli ci è piaciuto, ha creduto subito al progetto, ha esposto le sue idee e noi abbiamo creduto in lui. E io non sono l’editore, sono parte del gruppo, non ho scelto i giornalisti e non entro nel merito del giornale. Che, sia chiaro, mi piace».
Parole in rete, ben scritte e senza prudenze. Per ora su Linkiesta sono salvati il quasi conte zio Romano Prodi, conterraneo padanoreggiano che sognò Anna Maria ministro, il Luca Cordero di Montezemolo che della signora, sua vice in Confindustria, fu grande sostenitore e – bon ton o altro – Emma Marcegaglia che la Confindustria post Montezemolo guida con fatica e sempre più essicata passione berlusconiana. Anche se un’inchiesta di intitola: «Marcegaglia assume ma col contratto Marchionne». E racconta: «Il gruppo della presidente di Confindustria promette oltre 200 posti di lavoro, però ha posto le sue condizioni ai sindacati: un nuovo regime salariale per i neoassunti che consenta all’azienda di risparmiare sui costi. La trattativa si è arenata e la conflittualità cresce in un’azienda dove la sintonia tra dirigenti e operai era da sempre un marchio di fabbrica».
«Non ci sono legami con nessuno», dice la Artoni. «C’è attenzione per tutti» è lo slogan. Insieme a «ci può essere un altro business». I giornalisti (tredici con contratto regolare con i cinque fondatori che hanno messo in gioco la liquidazione delle testate precedenti) giocano un poco a fare i fenomeni. «Collaboratore di Newsweek», «recente biografo di Adriano Celentano», «business contributor at Il Foglio», «fondatore di un sito cult per i tifosi del Napoli, il Napolista»,«contributor at Il Riformista». E’ il cinismo della gioventù che si riverbera nel giornale e ne tratteggia la «diversità».
Linkiesta è partita a fine gennaio, società per azioni costituita presso un notaio milanese, editrice di un nuovo quotidiano di approfondimento online e per iPad. Anna Maria Artoni, presidente di Confindustria EmiliaRomagna, ex n.1 dei Giovani di Confindustria, appartenente a una grande famigliaimpresa internazionale di trasporti con sede e casa a Guastalla, nel Reggiano, è il volto che più appare in pubblico. Ma fra i 70 soci ci sono anche Alessandro Profumo, deus ex machina decaduto di Unicredit, e Stefano Landi, presidente degli industriali di Reggio Emilia. Nel consiglio di amministrazione con l’Artoni ci sono Fabio Coppola (avvocato), Kathryn Fink (manager), Marco Pescarmona (imprenditore), Andrea Tavecchio (commercialista) e il presidente Alfredo Scotti (manager). Capitale sociale di 1.350.000 euro destinato a salire a un milione e mezzo, quote fra i 10.000 e i 50.000 euro, nessun socio può avere più del 5%.
«L’idea è partita da alcuni miei amici», racconta la Artoni. «Io sono una pessima utilizzatrice del computer e uso il cellulare quasi solo per telefonare. Però capivamo che bisognava provare qualcosa di diverso. Giornali in line, solo on line, in Italia non ce ne erano. Guardavamo il sito di Repubblica, quello del Corriere, ovviamente l’Huffington Post di Arianna Huffgton che è il riferimento mondiale. Ci siamo convinti che c’era una strada da avviare e ci siamo lanciati».
La redazione ha uffici a Milano e Roma, oltre agli assunti ha una ventina di collaboratori in Italia e all’estero e si rivolge «alle intelligenze e ai saperi non ancora valorizzati dai media tradizionali». «Proprio per questo cerchiamo "antenne" nell’Italia e nel mondo: collaboratori, analisti, studiosi, fotografi, videomakers, giovani giornalisti, blogger. Abbiamo bisogno di radicarci e di incontrare non solo virtualmente realtà importanti del nostro paese che hanno tanto da dire, eppure non finiscono mai sui giornali o in tv. Vogliamo confrontarci ogni giorno con punti di vista diversi e magari lontani dai nostri. Vogliamo guardare attraverso molti occhi e differenti sensibilità e competenze».
Siamo ben lontani dai cento giornalisti di un neonato ben più grande, il Daily, il primo quotidiano solo per il tablet Apple voluto da Rupert Murdoch per servire decine di milioni di lettori potenziali. Nel 2011 in tutto il mondo saranno in circolazione all’incirca 40 milioni di iPad e se anche solo il 2% dei possessori si abbonasse al Daily (la soglia minima per la riuscita del progetto), i lettori sarebbero comunque molti di più di quelli di un qualsiasi quotidiano. Linkiesta nel suo piccolo (relativo) punta di riuscire a fare utili con abbonamenti, iPad e pubblicità. Intanto la settimana scorsa è riuscito a farsi riprendere sui quotidiani di carta per la notizia della presa di distanza da Gianfranco Fini di Alessandro Campi, ideologo di Futuro e Libertà. L’interessato ha insieme smentito e confermato, la polemica indignata ha pubblicizzato ancora di più il sito che ha risposto il giorno dopo con un pezzo sul direttore di Farefuturo, la fondazione di Fini, Mario Ciampi, legatissimo all’Opus Dei. Con qualche ironico scetticismo su santi e voti, dopo aver fatto notare che per Fini «le ambizioni al di sopra del Po appaiono molto ridimensionate».
Pensare che Italo Bocchino, braccio destro finiano, aveva tratteggiato l’Artoni come la candidata ideale di Futuro e Libertà per le elezioni. «Non parlo di politica. Ho i miei incarichi in Confindustria», taglia via lei. E nell’Italia del potere tv berlusconiano, «che racconta quel che vuole», propone «un’informazione trasparente, che aiuti a non confondere le idee». Dall’economia, «dove non siamo capaci di crescere come gli altri nel mondo». Alla politica, «dove nessuno spiega davvero il federalismo, ma anche la pressione fiscale sulle imprese e la disoccupazione». Con qualche tocco di classe. Come il «Se ne sono andati», versione italiana dei poetici obituaries della stampa anglosassone.