Paolo Griseri, Affari & Finanza 14/2/2011, 14 febbraio 2011
FIAT, IL CUORE VOLA IN USA CON IL MACIGNO DEI DEBITI
Due piatti di una bilancia. Quello italiano oggi pesa di più ma quello Usa sta recuperando rapidamente. Sarebbero ancora in equilibrio se non giocassero a favore di Detroit i 7,2 miliardi di dollari che i governi di Obama e di Ottawa hanno prestato a Chrysler determinandone la sopravvivenza e l’attuale ripresa. Al di là delle considerazioni sindacali e politiche, è il peso di quei due piatti che alla fine deciderà dove sarà davvero la testa di ChryslerFiat quando, prevedibilmente entro due anni, le due società si fonderanno. Il confronto tra i bilanci 2010 è ancora a favore di Fiat.Non solo di Fiat Group, che ha cessato di esistere il 31 dicembre scorso. Ma anche nel confronto con Fiat Spa, la società dell’auto nata al Lingotto dopo lo spin off di inizio gennaio. Fiat Group vantava un giro d’affari di 56,3 miliardi di euro e ha fatto registrare un utile netto di 600 milioni nell’anno appena concluso.
Buona parte dei ricavi della vecchia Fiat sono stati fatti nel 2010 con le attività di automotive oggi confluite in Fiat Spa: 35 miliardi e 880 milioni, quasi il 65 per cento del fatturato. L’utile della gestione ordinaria della stessa Fiat Spa è stato di un miliardo e 112 milioni, sostanzialmente simile a quello registrato dalle attività non automotive di Iveco e Cnh oggi confluite in Fiat Industrial (1,092 miliardi).
Rispetto a queste cifre, Chrysler continua ad arrancare. Perché i suoi ricavi espressi in euro sono stati di 30,8 miliardi nel 2010 e ha chiuso l’esercizio con una perdita di 479 milioni, a oltre un miliardo di distanza dal risultato della Fiat prima della scissione. Non è naturalmente disponibile il dato disaggregato di Fiat Spa per il 2010 ma qualche indicazione può venire dal confronto tra l’utile della gestione ordinaria della stessa Fiat Spa (1,112 miliardi) e l’utile operativo di Chrysler, 561 milioni di euro.
Questa probabilmente è l’ultima fotografia nettamente favorevole a Torino nel confronto con Detroit. Perché a partire dal prossimo esercizio, quello del 2011, i rapporti di forza potrebbero equilibrarsi. Sergio Marchionne ha puntato molto sul turnaround americano concentrando negli ultimi mesi sull’altra sponda dell’Atlantico gran parte degli investimenti con l’obiettivo di presentare al mercato 16 nuovi modelli entro fine anno.
Il risultato, secondo le previsioni dell’Ad, dovrebbe essere una crescita dei ricavi fino a 40 miliardi di euro. Così Fiat Spa dovrebbe crescere nei prossimi mesi di oltre il 10 per cento per ottenere lo stesso fatturato dei cugini americani. E anche sul fronte degli utili potrebbero esserci novità. Perché, con un modo brusco che ha irritato la stessa amministrazione Obama, il manager del Lingotto ha fatto sapere che intende rinegoziare i tassi di interesse del debito contratto con i governi di Washington e Ottawa: «Sono tassi da usurai».
Oggi quei tassi costano a Chrysler 902 milioni di euro all’anno: senza quegli interessi nel 2010 la casa di Detroit avrebbe chiuso in attivo di oltre 400 milioni di euro.
Il modo più semplice per liberarsi del peso degli interessi sul debito è naturalmente quello di restituire i 7,2 miliardi di dollari avuti in prestito dai due governi d’Oltreoceano. Ciò che potrebbe avvenire già l’anno prossimo, se si rispetterà la tabella di marcia ufficiosa che trapela dal Lingotto.
Entro fine 2011 Fiat Spa potrebbe raggiungere il 35 per cento di Chrysler (oggi è al 25) senza tirare fuori un euro ma rispettando gli impegni presi con Obama e che ancora mancano all’appello: produrre un motore ecologico in Usa e distribuire Chrysler nei concessionari Fiat del Sudamerica. A quel punto, all’inizio del 2012, Marchionne dovrebbe avere i soldi per restituire il debito, pagare il 16 per cento di azioni Chrysler ai sindacati che detengono ancora la maggioranza delle azioni, e conquistare il 51 per cento a Detroit prima del ritorno in Borsa della terza casa automobilistica americana.
Tra 12 mesi, in sostanza, il peso specifico di Detroit potrebbe essere molto maggiore di quanto non sia oggi e la bilancia potrebbe pendere decisamente a favore del piatto americano. Anche perché a quel punto, se la ripresa economica sarà meno incerta di oggi, è assai probabile che ad avvantaggiarsene sia l’area Usa rispetto a quella europea.
I due mercati oggi si equivalgono: 1213 milioni di auto vendute su ambedue le sponde dell’Atlantico. Ma le possibilità di crescita in America sono universalmente considerate superiori a quelle europee.
Nel 2010 Chrysler ha venduto 1,6 milioni di auto, Fiat ha superato i 2 milioni. Su quale sponda dell’oceano si produrranno nei prossimi anni i 2,4 milioni di vetture in più che servono per raggiungere la soglia di sicurezza indicata da Marchionne, 6 milioni di auto nei dodici mesi? L’Ad ha promesso che nel 2011 Chrysler raggiungerà i 2 milioni di auto incrementando le vendite del 20 per cento in un solo anno e raggiungendo così Torino.
Sul versante europeo la produzione negli stabilimenti italiani dovrebbe riprendere solo nel 2012 quando andranno a regime le linee della nuova Panda a Pomigliano e del suv a Mirafiori. Alla fine del prossimo anno si vedranno così le possibilità di crescita produttiva delle due società e sarà probabilmente quello il momento in cui verrà presa in via definitiva la decisione sulla sede del quartier generale della «Chriat», la nuova impresa che nascerà dalla fusione tra Torino e Detroit.
Quali possibilità ha la Fiat di spuntarla nel braccio di ferro? Matteo Colaninno, deputato del Pd ed esponente di una delle principali famiglie del capitalismo italiano, è piuttosto scettico: «Le possibilità erano già scarse in partenza premette perché nessuno può ignorare il peso economico degli Stati Uniti. Certo, quelle possibilità si sono ridotte ancor di più di fronte alla scelta del governo italiano di non intervenire, di lasciare che le cose andassero per loro conto. Una scelta compiuta in nome del liberismo e della lotta al dirigismo in economia. Peccato che invece tutti i principali paesi occidentali siano intervenuti eccome, nella convinzione che la difesa dell’industria nazionale dell’auto fosse strategica per il loro sistema paese».
Così, secondo Colaninno, «è probabile che la Fiat si trasformi da multinazionale con il quartier generale in Italia nell’avamposto europeo di una multinazionale che ha la testa altrove. Un destino forse inevitabile che comunque l’atteggiamento della politica italiana ha finito per favorire. Un destino che cambierà anche il ruolo degli azionisti, della famiglia Agnelli, e darà ancora maggior peso a un manager come Marchionne».
E’ naturalmente presto per dire se andrà davvero così e ancora in questi giorni tutti si affannano a smentire traslochi e perdite di peso della Fiat rispetto alla Chrysler. Fino all’autunno del 2012 è ancora concesso sperare.