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 2011  febbraio 14 Lunedì calendario

L’ARDITA SCOMMESSA DI ARIANNA


Secondo alcune autorevoli firme del Guardian e del New York Times , l’acquisizione dell’Huffington Post da parte di Aol - senza dubbio la più chiacchierata fusione che l’industria culturale Usa abbia partorito nell’ultimo anno - è un flop annunciato (un dubbio condiviso dai mercati borsistici, visto che il titolo Aol ha perso quasi il 4% dopo l’annuncio). Quasi avesse voluto mettere le mani avanti, anticipando questi commenti negativi, l’articolo con cui Arianna Huffington ha dato notizia dell’accordo lasciava trasparire, dietro i toni entusiastici, l’esigenza di far digerire la scelta ai lettori.

Le società che si innamorano delle strategie che le hanno premiate, scriveva, rischiano di perdere il coraggio di cambiare, mentre noi avevamo urgenza di innovare, tappando alcuni «buchi» - informazione locale, edizioni internazionali, video originali ecc. -; in settori in cui Aol è potente; viceversa il Post potrà aiutare Aol a risolvere il suo problema più evidente, vale a dire la debole identità di brand.

Sul fatto che il brand di Aol sia debole, ribattono i critici, non sussistono dubbi, ma lo è proprio perché protagonista di operazioni di fusione spericolate quanto fallimentari: da quella con il colosso dell’industria cultuale Time Warner a quella con Bebo, la piattaforma di social networking che nutriva l’infondata ambizione di fare concorrenza a Facebook. - non avendo imparato che la peggior scelta che possano fare due imprese - rispettivamente forti l’una per i contenuti l’altra per la dimensione - è quella di mettersi assieme, Aol ci ha riprovato acquisendo: prima Patch - un sito che produce informazione locale per ottocento città americane -, poi Tech Crunch - celebre blog per «smanettoni» -, infine il Post.

Riuscirà Arianna Huffington a rendere coerente questo mosaico senza «annacquare» , come ha promesso ai lettori, linea editoriale, livello culturale e mission della sua testata? Difficile crederci: soprattutto perché un colosso come Aol non può permettersi di imporre al suo vasto pubblico di riferimento - popolare e scarsamente ideologizzato - lo stile scanzonato e radical chic del giornale della Huffington. Possibile che nessuno si sia posto il problema? Difficile immaginarlo, quindi veniamo al punto: qual è il know how che Aol vuole davvero acquisire dal Post?

Il vero «miracolo» di Arianna Huffington è stato convincere migliaia di esperti di alto livello a scrivere gratis per lei in cambio di: 1) della visibilità garantita da una testata da 24 milioni di contatti unici al mese; 2) della possibilità di esprimere liberamente idee e opinioni radicali ed «eretiche» . Un modello di business che, trasferito sui grandi numeri di Aol, garantirebbe uno strepitoso bilancio costi/benefici.

Questo significa però fare i conti senza l’oste: perché l’esercito di prestigiosi blogger del Post dovrebbe continuare a lavorare gratuitamente, dal momento che non si tratta più di collaborare a un progetto politico-culturale condiviso, bensì di lavorare per una corporation? I casi sono, due: o cominceranno a pagarli, oppure finiranno per chiedere asilo a piattaforme meno ricche ma più vicine allo spirito originario del Post.