Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  febbraio 14 Lunedì calendario

DAL CAIRO UNA LEZIONE PER PECHINO

Dare un’interpretazione strettamente economica degli eventi verificatisi in Tunisia ed Egitto sarebbe troppo semplicistico. Non c’è dubbio, però, che le agitazioni in entrambi i paesi, e in qualsiasi altro paese del mondo arabo, riflettono ampiamente il fallimento da parte dei governi nella distribuzione della ricchezza.

Il problema non è tanto dato dall’incapacità di crescita economica: in Tunisia e in Egitto le autorità hanno rafforzato le politiche macroeconomiche. Le loro riforme hanno prodotto risultati importanti, tanto che la crescita annuale di Egitto e Tunisia ha mantenuto, a partire dal 1999, una media rispettivamente del 5,1 e del 4,6 per cento. Non si tratta di tassi di crescita simili a quelli della Cina, ma sono tuttavia paragonabili a quelli di Brasile o Indonesia, sempre più considerati come esempi di successo economico.

Il problema è dato, in realtà, dal fatto che i benefici derivati dalla crescita non sono arrivati ai giovani insoddisfatti. Nel Nordafrica e in Medio Oriente la quota dei lavoratori al di sotto dei 30 anni è ben più elevata rispetto a qualsiasi altra parte del mondo, il che implica prospettive molto più limitate da un punto di vista economico e ben poche opportunità al di fuori del settore bancario-finanziario per i laureati. Chiunque sia stato nella regione avrà sicuramente avuto a che fare con guide turistiche di estrema educazione e con elevato livello culturale. A causa di un settore manifatturiero sottosviluppato, gran parte dei giovani lavoratori con scarse competenze e basso livello di educazione è forzato a ripiegare sul settore informale. Inoltre il livello di corruzione è molto elevato: le possibilità di carriera sono legate a conoscenze personali a cui hanno fondamentalmente accesso i figli dei funzionari militari e politici e pochi altri.

Il fatto di poter pensare che un’economia a crescita elevata come la Cina potrebbe a breve dover affrontare problemi simili rasenta l’incredulità. Tuttavia, ci sono tutti i segnali. Data la mancanza di libertà politica, la legittimità del governo cinese si fonda sulla sua abilità ad assicurare un miglioramento degli standard di vita e nuove opportunità economiche alle masse. Per ora quelle stesse masse non si possono lamentare, ma la situazione potrebbe cambiare da un momento all’altro.

Innanzitutto, esiste il problema crescente della disoccupazione e della sottoccupazione tra gli universitari. Dal 1999, anno in cui la Cina ha dato una spinta per migliorare l’educazione universitaria, il numero dei laureati è aumentato di sette volte, sebbene il numero dei posti di lavoro con competenze e reddito elevato non abbia mantenuto lo stesso passo. Il paese pullula quindi di giovani laureati disperati, in quanto impossibilitati a trovare un posto di lavoro produttivo. Quotidiani e blog parlano di "tribù di formiche" di nuovi laureati che vivrebbero in seminterrati angusti nelle grandi città del paese inutilmente in cerca di lavoro.

In parte, questi contesti sventurati rispecchiano l’inflessibilità del sistema educativo cinese. Gli studenti passano tutti e quattro gli anni universitari a studiare una sola materia, che sia contabilità o scienze informatiche. Ne risulta che finiscono per avere competenze limitate che possono difficilmente essere implementate in posizioni professionali diverse da quelle preventivate nel caso queste non siano disponibili. Si è poi diffusa la tendenza a spingere gli studenti verso ingegneria, anche se l’economia cinese si sta ora spostando dal manifatturiero ai servizi. La Cina deve quindi muoversi in fretta e portare avanti la riforma dell’educazione. Deve essere in grado di fornire ai suoi studenti universitari competenze più flessibili, più formazione e un maggior incoraggiamento a pensare in modo critico e creativo.

Esiste poi il problema dei migranti dalle campagne, con meno competenze e un livello educativo inferiore, che vengono relegati a lavori di seconda classe nelle città. Non avendo un permesso di residenza urbano non possono neppure godere della limitata tutela professionale e dei benefici dei lavoratori che ne sono invece in possesso. Inoltre, proprio per la natura fluttuante del loro status (oggi qui, domani chissà), ricevono una scarsa formazione anche sul posto di lavoro. La situazione difficile dei migranti dalle campagne evidenzia la necessità di riformare l’hukou, il sistema dei permessi di residenza della Cina. Alcune città e province l’hanno addirittura abolito senza alcune conseguenze catastrofiche e altre potrebbero utilmente seguirne l’esempio.

Infine, la Cina deve affrontare seriamente il problema della corruzione. Le relazioni personali, guanxi, continuano a essere un punto critico per poter fare carriera. I migranti giunti recentemente dalle campagne e gli universitari con lauree prese in università di secondo livello non possono purtroppo accedere a queste connessioni. E se continueranno a vedere che i figli degli alti funzionari di governo riescono a fare meglio di loro, aumenterà il malcontento.

Se i funzionari cinesi non affronteranno in tempi rapidi il malcontento popolare prevenendo eventuali motivi di insoddisfazione, potrebbero trovarsi anche loro a dover gestire una rivolta molto più ampia e determinata della protesta degli studenti duramente repressa dal governo a Piazza Tienanmen nel 1989.