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 2011  febbraio 13 Domenica calendario

LA MEMORIA IN UNO SCATTO

Ha ragione Fausto Bertinotti, presidente della fondazione della Camera dei deputati, quando osserva nella sua nota introduttiva: «Con l’avvento della televisione la Camera non è più il solenne palazzo del Bernini e del Basile dove dimora la Politica. È diventata un’immagine della quotidianità. Ha perso un’aura, potrebbe guadagnarne una confidenzialità. Purtroppo la crisi della politica e lo stato assai sofferente della democrazia hanno generato un distacco, una grande difficoltà nel rapporto tra i cittadini e le istituzioni».

Questa è la realtà del nostro tempo. La società "visiva" e soprattutto televisiva hanno trasformato anche i luoghi istituzionali. Tutto è apparentemente a portata di mano. Il "palazzo" pasoliniano per certi aspetti non esiste più. Eppure proprio adesso la distanza fra i cittadini e la politica si è approfondita, è diventata quasi un solco incolmabile. È come se il populismo di cui sono intrisi i nostri anni, a destra come a sinistra, avesse disarticolato il tradizionale rapporto con la ritualità della democrazia, una ritualità in cui forma e sostanza s’intrecciano.

La preziosa storia fotografica che viene proposta dal volume La Camera dei deputati a Montecitorio serve a rovesciare questo schema. Sul piano della comunicazione c’è una terza via tra l’impossibile ritorno alla sacralità élitaria di istituzioni remote e inaccessibili, da un lato; e la progressiva perdita di senso che accompagna la fase complessa e disordinata che stiamo vivendo, dall’altro. Questa terza via coincide con l’uso sapiente delle immagini come strumento innovativo per riflettere sul percorso istituzionale della nazione nell’anno in cui si celebra (o si dovrebbe celebrare) il 150° dell’Unità.

E si capisce il perché. La "telecrazia" tende ad appiattire uomini, eventi, situazioni; e in fondo contribuisce involontariamente a cancellare la memoria favorendo l’illusione che viviamo in un eterno presente. Viceversa la fotografia coglie l’attimo e fissa la storia. Nulla come il lavoro di decenni della ditta Alinari restituisce con vivacità lo spessore dei personaggi e delle vicende politiche. Potremmo dire che il palazzo di Montecitorio e la Roma che lo circonda, quasi parte di esso, prendono vita grazie a questa straordinaria raccolta di foto che per la prima volta viene ordinata e presentata al pubblico con il necessario inquadramento storico (grazie agli scritti di Piero Melograni, Gabriele D’Autilia, Paolo Portoghesi, Giovanni De Luna, Tullio De Mauro, Filippo Ceccarelli, Mario Pacelli e Miriam Mafai).

Certo, non basta una magnifica rassegna fotografica per comprendere la Storia, intesa come la successione di speranze e tragedie, di slanci e cadute che scandiscono l’evoluzione di un popolo e delle sue classi dirigenti. Nessuno lo pretende. D’altra parte, se si vuole coltivare la memoria impedendo che tutto si scolorisca e si appanni nella nebbia dell’oblìo e dell’ignoranza, dobbiamo ammettere che la fotografia costituisce un ausilio potente e insostituibile.

Le riviste e i giornali moderni nascono in tempi relativamente recenti quando si comprende la forza descrittiva delle immagini. Le guerre del Novecento non sarebbero come le abbiamo conosciute senza i grandi "reportage" di «Life» e di altre testate prestigiose che hanno cambiato il modo di fare giornalismo. E in Italia la storia del dopoguerra, i mutamenti sociali del paese, le trasformazioni degli anni Cinquanta e Sessanta sono stati raccontati dal «Mondo» di Mario Pannunzio o dal primo «Espresso» di Arrigo Benedetti con il supporto di splendide foto d’autore, nel solco della lezione anglosassone.

Consideriamo allora quanto sia utile aprire gli archivi e rendere disponibile il patrimonio fotografico che vi è custodito. Valutiamo quanto sia importante riorganizzarlo e offrirlo soprattutto ai giovani. È qualcosa che ha a che fare con la «qualità della democrazia», come dice Bertinotti. Potremmo parlare di "trasparenza" e sarebbe giusto, ma forse non esauriente. Non si tratta solo di aprire qualche porta. Non si tratta solo di coinvolgere gli italiani di oggi mostrando i volti degli uomini e delle donne di quella Roma e di quel palazzo di Montecitorio in cui si è consumato il destino nazionale in oltre un secolo di storia.

Il punto è cogliere quello che De Luna nel suo saggio definisce «il pendolo tra osmosi e separatezza». Tra la piazza e il palazzo, potremmo dire, seguendo il filo rosso di una contraddizione sempre presente nella nostra vicenda pubblica. Tra indifferenza populistica alle istituzioni e necessità d’integrare fra loro il popolo e le istituzioni. È un pendolo che non smette mai di oscillare e che oggi produce un "tic toc" poco incoraggiante. Ma questo libro aiuta a capire. E la comprensione è il primo passo per curare i mali della democrazia.