Umberto Bottazzini, Il Sole 24 Ore 13/2/2011, 13 febbraio 2011
L’UOMO CHE SCOPRÌ IL FERRO DI CAVALLO
La celebrazione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia è l’occasione per suggerire ai giovani, o a quegli adulti nostalgici del passato, di soffermarsi ogni tanto su quanto siano cambiate in meglio le condizioni di vita rispetto a quei tempi. Come testimoniano le malattie e le morti di protagonisti famosi, ad esempio, le conoscenze mediche e l’efficacia delle cure erano assai scarse.
L’opportunità di riflettere sulla medicina nell’età risorgimentale continua a fornirla lo pneumologo forlivese Venerino Poletti, che dopo aver ricostruito la patologia clinica degli ultimi giorni di Cavour (vedi questo supplemento del 10 maggio 2010), ha esaminato anche gli ultimi giorni di Garibaldi e Mazzini.
Sulla base delle dettagliate biografie sul l’avventurosa vita, le abitudini e gli ultimi giorni di Garibaldi, Poletti discute, sulla rivista «Libro aperto», la probabile origine della paralisi della faringe che soffocò il «ribelle splendido» (Carducci) il 2 giugno del 1882 alle 18.30. Il medico romagnolo ricorda che il «superbo vindice» (sempre Carducci) durante gli ultimi anni a Caprera soffriva di osteoartrite, e appariva rigido, non solo a livello articolare ma anche nella mimica. Era a momenti assente, quindi affetto da deficit cognitivi, sintomatici di una demenza senile. Poletti ipotizza che il lento processo di decadenza fosse conseguente alla «senescenza», cioè all’aterosclerosi e a un’ipertensione che avrebbe dato luogo a numerosi infarti in diverse strutture cerebrali. L’ultimo episodio vascolare avrebbe colpito le zone cerebrali che controllano la motilità della faringe, determinando la paralisi fatale.
Sempre su «Libro aperto», Poletti riesamina anche le ultime settimane di vita di Giuseppe Mazzini. Il fondatore della Giovine Italia, morto praticamente in incognito a Pisa il 10 marzo 1872, fu ucciso probabilmente da «un tumore della trachea o dei grossi bronchi», o da un «ascesso polmonare». L’ipotesi diagnostica più interessante è che Mazzini avesse sofferto nella vita di una serie di patologie conseguenti a una malattia da reflusso gastroesofageo. Il reflusso di materiale acido dallo stomaco all’esofago è un sintomo frequente nell’età infantile, e può insorgere nelle persone che consumano troppo alcol. Tuttavia, in alcune condizioni, come la presenza di un’ernia jatale o di altri fattori di rischio, può diventare una malattia, che dà luogo a lesioni o alterazioni istologiche a carico dell’esofago per effetto dei succhi gastrici.
Sulla morte di Mazzini esiste un dettagliato resoconto del medico Giovanni Rossini, che lo visitò per la prima volta il 7 febbraio 1872, «verso le 10 di sera» presso l’abitazione di Pellegrino Rosselli, a Pisa, dove Mazzini si trovava da dieci giorni sotto il falso nome di Giorgio Brown. Rossini pubblicò nell’aprile del 1872 per la tipografia Nistri di Pisa un libretto in 16°, di 32 pagine, intitolato: Dell’ultima malattia di Giuseppe Mazzini avvenuta in Pisa nel marzo 1872. Narrazione del Dott. Giovanni Rossini. Mazzini fu visitato anche da Carlo Miniati, professore di ostetricia a Pisa, chiamato da Rossini quando, ai primi di marzo, le sue condizioni divennero critiche. Miniati aveva partecipato ai moti risorgimentali e lasciò due lettere, che confermano il comune orientamento dei due medici nel diagnosticare una «congestione polmonare», cioè un afflusso in eccesso di sangue ai polmoni, quindi un’infiammazione che si sarebbe progressivamente e fatalmente estesa.
Poletti esclude la tubercolosi per assenza tra l’altro di sangue nel catarro, e ritiene plausibile un ascesso polmonare, cioè un’infezione che poteva avere diverse origini, tra cui l’inalazione di batteri provenienti dal cavo orofaringeo,e che si possono produrre in soggetti colpiti da carie o infezioni gengivali. La malattia terminale poteva, comunque, anche essere un tumore della trachea o dei bronchi principali.
Val la pena di commentare il fatto che, in quegli anni, un ostetrico fosse ritenuto del tutto adeguato per un consulto concernente un malato maschio con problemi respiratori. E che dire delle cure, per così dire, prescritte a Mazzini. Il povero Mazzini dovette subire numerosi trattamenti con revulsivi, per esempio con preparati a base di senape e «vessicanti» (cioè che provocavano vesciche): in sostanza si cercava di produrre infiammazioni locali con l’intento di «decongestionare» così gli organi interni. Fu anche sottoposto a salasso mediante «applicazione di 6 mignatte (sanguisughe) alla parte destra del petto, sul punto dolente», ma senza che «uscisse molto sangue». Gli fu somministrato «kermes minerale», cioè un preparato a base di antimonio, un minerale tossico con un’azione antiparassitaria, introdotto da Paracelso e usato da metà Settecento come una sorta di panacea. Molte altre pozioni inutili e disgustose, dovette trangugiare il poveretto (tintura di castoro, decotto di poligala, eccetera). Entrambi i medici ricordano commossi che era un paziente molto collaborativo. La mattina del giorno in cui morì disse addirittura al Rossini, vedendolo preoccupato, di sentirsi un po’ meglio. Ma al Miniati confessò che «stava allo stesso modo e che aveva dato quella risposta al Dr. Rossini per consolarlo».
Mazzini non era un’eccezione. Curiosamente, quando la medicina e i medici non potevano fare quasi niente, i pazienti si fidavano di più. Però non c’è un solo motivo per avere nostalgia di quei tempi. Si può solo ricordare, di passaggio, che diverse pozioni inutilmente somministrate a Mazzini si basavano su teorie mediche purtroppo ancora oggi in circolazione col nome di medicine «alternative». A volte dette, non impropriamente, «naturali».