Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  febbraio 14 Lunedì calendario

L’EFFETTO NORD AFRICA SULLE MATERIE PRIME

In questi giorni i prezzi di energia e materie prime sono in tensione. Complici le turbolenze politiche in Nord Africa e le preoccupazioni che esse hanno generato sui mercati delle commodities, con il petrolio che a fine gennaio si è riaffacciato oltre i 100 dollari/barile e il rame che ha bruciato nuovi record. L’indice dei prezzi dei prodotti di base dell’Economist l’8 febbraio risultava più alto del 54% sia in dollari sia in euro rispetto a un anno fa per l’insieme delle materie prime, del 46% più alto in dollari per i prodotti alimentari, del 106% per le materie prime agricolo-industriali e del 44% per i metalli.
Dopo la caduta di Mubarak permangono incertezze sul futuro dell’Egitto (il canale di Suez è tra i principali punti di transito del petrolio) mentre le proteste si estendono all’Algeria. Ciò preoccupa ma gli analisti temono ora soprattutto un rincaro degli alimentari. Secondo l’Economist, vari Paesi nell’area mediterranea e araba come Arabia Saudita, Algeria e Giordania hanno accumulato scorte di cereali contribuendo ancor di più ad innalzare i prezzi mentre in molti temono che la Cina possa avere quest’anno dei raccolti non adeguati.
Al di là delle contingenze, su cui si innestano forti movimenti speculativi in parte generati dall’eccesso di liquidità presente nei mercati, vi sono però fattori strutturali che possono infiammare i prezzi delle commodities. I cambiamenti portati dalla globalizzazione e soprattutto l’ascesa economica della Cina con la sua gigantesca domanda di energia e prodotti di base rappresentano, infatti, degli elementi di pressione sui corsi delle materie prime che vanno ben al di là dei possibili effetti a breve termine della crisi dell’area nordafricana.
Prendiamo il caso di due commodities fondamentali, una industriale, l’altra alimentare: il rame e la soia. Il rame entra in molti processi produttivi (compresa la produzione di ottone, in lega con lo zinco) ed è cruciale in settori come l’edilizia (rubinetti, valvole per impieghi idrotermosanitari, tubi, coperture), la produzione di autoveicoli (che oggi hanno molta più elettronica a bordo di un tempo), la produzione di apparecchi elettrici ed elettronici di tutti i tipi, per non parlare delle stesse infrastrutture energetiche (centrali e reti elettriche). La soia è invece il “petrolio verde”: una materia prima agricola assolutamente essenziale non solo perché triturando i semi di soia si ottiene l’olio di soia che è l’olio più diffuso al mondo ma anche perché la farina di soia che si ricava come sottoprodotto della triturazione è con il mais alla base dell’alimentazione animale. In gran parte del mondo senza soia non si produce carne. E se si vuole friggere la carne serve l’olio di soia.
L’accelerata crescita economica della Cina sta generando pressioni senza precedenti non soltanto sulla domanda di energia e sull’inquinamento a livello mondiale ma anche sull’assorbimento di materie prime industriali ed agricole. Ciò cambia anche la geo-politica perché i produttori di commodities guardano oggi non più agli USA e all’Europa ma a Pechino come il loro nuovo interlocutore più importante, essendo la Cina diventata il più grande consumatore mondiale di minerali, metalli e derrate agricole. Storico è stato il “sorpasso” del consumo di rame raffinato della Cina ai danni di quello degli Stati Uniti, avvenuto nel 2002, seguito da quello nell’alluminio nel 2004. La Cina assorbe ormai circa il 40% del rame raffinato consumato al mondo ed oltre il 40% dello zinco, del piombo e dello stagno.
Il boom della domanda cinese di commodities industriali è dipeso da due fattori. Innanzitutto dal ruolo di “fabbrica del mondo” assunto dalla Cina, sia per effetto delle delocalizzazioni produttive ivi realizzate dalle imprese occidentali, giapponesi e di altri Paesi asiatici come la Corea e Taiwan, sia come conseguenza dello sviluppo delle stesse imprese manifatturiere cinesi che producono ed esportano in proprio. In secondo luogo per effetto del processo di infrastrutturazione della Cina che ha determinato una forte crescita delle reti e dell’edilizia, spingendo in modo particolare la domanda di cemento, metalli e legno. Il che è avvenuto persino in questo periodo di crisi economica mondiale, durante il quale il Governo cinese ha cercato di compensare la caduta dell’export attraverso la domanda interna, in particolare di investimenti in infrastrutture.
Si consideri il filo di rame, che è soltanto uno dei vari semilavorati che si ottengono dalla trasformazione del rame e delle sue leghe. Nel 2000 l’Europa e gli Stati Uniti producevano rispettivamente circa 2,4 e 2 milioni di tonnellate di filo di rame e la Cina appena 1,3 milioni. In soli nove anni, la produzione cinese di filo di rame è balzata nel 2009 a 4,3 milioni di tonnellate, quella USA è scesa a 1,1 milioni e quella europea a 2,1 milioni. In altri termini, la Cina produce oggi il 35% di filo di rame in più di americani ed europei insieme, mentre nel 2000 la sua produzione era pari ad appena 1/3 di quella complessiva statunitense ed europea.
Si pensi, in campo agricolo, ai semi di soia. Nella campagna 2010/2011 il raccolto degli Stati Uniti, cioè il principale produttore mondiale, sarà di circa 90,6 milioni di tonnellate, quello del Brasile (secondo produttore) di 68,5 milioni di tonnellate e quello dell’Argentina (terzo produttore) di 49,5 milioni di tonnellate. La Cina, che è il quarto produttore del mondo con 14,4 milioni di tonnellate, non è autosufficiente per la soia e ne dovrà importare circa 57 milioni di tonnellate (contro i 28,7 milioni che importava solo nel 2006/07). In altri termini, l’equivalente del raccolto del terzo produttore mondiale di semi di soia (l’Argentina) è già adesso largamente insufficiente per alimentare l’import cinese e forse tra poco tempo non basterà nemmeno più il raccolto del secondo produttore (il Brasile).
Il mondo sta cambiando ad altissima velocità ed i consumi di materie prime ce lo dicono chiaramente.