Livia Manera, Corriere della Sera 14/02/2011, 14 febbraio 2011
A CACCIA DEI MISTERI DI SALINGER: ECCO IL SEGRETO DELLA PARANOIA
«Addio» dice l’incantevole tredicenne Esmé al giovane soldato americano che sta per lasciare il Devon nell’aprile del 1944 per prepararsi all’avventura del D-Day. «Spero che farà ritorno dalla guerra con tutte le sue facoltà intatte» . Ma chi ha letto «Per Esmé con amore e squallore» , uno dei più delicati e struggenti racconti di J. D. Salinger, sa che il soldato X, pur sopravvivendo al massacro del D-Day, sarà vittima di un terribile crollo nervoso. E un anno più tardi, rileggendo in una baracca militare della Baviera la lettera che l’orfana Esmé gli ha inviato insieme a un regalo (l’orologio di suo padre), sarà colto improvvisamente da un sonno «quasi estatico» : un sonno che per un attimo induce questo giovane disperato a sperare di risvegliarsi sano e «tornare a essere un uomo con tutte le sue facoltà intatte» . Possibile che questa celeberrima short story da sempre sotto gli occhi di tutti contenesse la chiave del mistero della paranoia, dell’ipocondria, della misantropia che hanno trasformato lo scrittore più amato d’America nella caricatura di un bisbetico recluso? La nuova biografia «J. D. Salinger: a Life» che Random House pubblica negli Stati Uniti a un anno dalla morte dello scrittore — e cioè quando chiunque abbia una lettera o uno scampolo di aneddoto su Salinger da vendere non ha più paura delle sue azioni legali e ci inonda di rivelazioni quali: sì, gli piacevano gli hamburgers!; no, non gli piacevano né Bush né Reagan!; incredibile! Andava qualche volta a teatro! — farebbe pensare proprio questo: che J. D. Salinger come il soldato X non tornò affatto dalla guerra «con tutte le sue facoltà intatte» . E che con ogni probabilità soffrì di quello che oggi chiamiamo Disturbo post traumatico da stress, che nel tempo sarebbe risultato in una lunghissima depressione clinica. — onore al merito dell’autore del volume, Kenneth Slawenski, dunque, che non è uno studioso ma uno di quei fanatici salingeriani che Salinger aborriva e che per sette anni ha alimentato la fiamma della sua ossessione con un sito intitolato Dead Cauldfields— onore al merito di questo fan di avere evidenziato nel suo libro il peso schiacciante dell’esperienza della guerra nella biografia e, in modo diretto o indiretto, in tutta l’opera dell’autore del Giovane Holden. Il quale nel D-Day del 6 giugno del 1944 non solo è sbarcato a Utah Beach con un reggimento di 3.080 fanti di cui ne sono sopravvissuti solo 1.130. Ma è stato uno dei 500 — su 3000 commilitoni— a uscire vivo dalla foresta di Hurtgen, solo per combattere la spaventosa battaglia di Bulge, e poco dopo, nel 1945, partecipare alla liberazione — lui, che era mezzo ebreo — del lager di Dachau. Recensendo «Salinger: a life» sul «New York Times» , Jay McInerney nota: «In effetti fa riflettere che uno scrittore così profondamente ambizioso, che anche dalle trincee non ha mai smesso di mandare i suoi racconti al proprio agente a New York, abbia scelto di non scrivere mai della sua esperienza sul campo di battaglia» . Ma è anche notevole, col senno di poi, l’accoglienza riservata a Un giorno perfetto per i pesci banana: quando nel gennaio del 1948 il «New Yorker» ha pubblicato questo racconto-capolavoro in cui il giovane reduce di guerra Seymour Glass in luna di miele passa la giornata su una spiaggia della Florida parlando con un’incantevole bambina di «pesci banana» , e poi si fa saltare le cervella con una pistola, apparentemente senza motivo. Per anni i lettori sono rimasti senza spiegazioni per quel gesto violento e improvviso come un incidente d’auto. Eppure ne aveva dati di indizi, Salinger.
Livia Manera