Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  febbraio 14 Lunedì calendario

FERRARA-TREMONTI, COSI’ PARTE L’ATTACCO FINALE AL NON ALLINEATO - E

così parte l’attacco finale al non allineato. Al superministro che non concede a Berlusconi i soldi per la crescita. Che, mentre i direttori del gruppo Mediaset scendono in campo contro il gruppo Espresso, rilascia interviste ai giornali nemici. Che, mentre il capo vuole la chiusura di Annozero, va ad Annozero (e a Bersani che gli rimprovera le interviste filosofiche risponde beffardo: «Se vuoi Pier Luigi la tua prossima intervista te la scrivo io» ). Che nel 2006, quando a Vicenza Berlusconi accendeva lo scontro elettorale, parlava per primo dell’ineluttabilità di una grande coalizione. E che adesso, nel momento di massimo scontro con la procura di Milano, si guarda dall’entrare nella polemica, limitandosi a far notare: «Il modo migliore in cui posso sostenere il governo è fare bene il ministro dell’Economia» .
Invece, sembra dire Giuliano Ferrara, dalla battaglia finale nessuno può tirarsi indietro. Neppure Giulio Tremonti. Perché «il governo sotto assedio giudiziario è anche il suo» . E perché finora il ministro è rimasto in silenzio sulla «frustata all’economia» , la campagna per la crescita lanciata da Berlusconi su suggerimento dello stesso Ferrara, per dimostrare che il premier ha ancora le redini del governo (e per parlar d’altro che non sia Ruby). Così l’Elefantino ha firmato sul Giornale della famiglia Berlusconi un editoriale all’apparenza più riguardoso di quello con cui domenica scorsa aveva attaccato Emma Marcegaglia, in realtà scritto con una malizia che lo rende quasi un drappo rosso sventolato davanti al toro. Non manca nessuno degli ingredienti per fare arrabbiare Tremonti. L’evocazione di Colbert. Le battutine sul «genio» e le sue «genialate» (forse anche la frecciatina sulla cassoeula, piatto forte del menu padano). Il riferimento al suo cattivo carattere, che è il modo infallibile per irritare le persone di carattere. E l’accusa velata di intelligenza con il nemico -per giunta sul tema fiscale -con la citazione di Giuliano Amato, predecessore del ministro alla presidenza di Aspen Italia.
Certo Ferrara è sincero quando si colloca tra gli ammiratori di Tremonti. I rapporti sono stati quasi sempre buoni, tranne qualche accensione reciproca, tipo la puntata di «Otto e mezzo» in cui Ferrara alzò la voce («non faccia il professorino e il sussiegoso con me!» ). Ma ora le strade dei due inevitabilmente si incrociano. Ferrara ha puntato questo suo ritorno in campo sulla tenuta di Berlusconi, di cui non vede eredi, e sul piano per la ripresa economica. Tremonti è oggettivamente l’unica alternativa possibile al Cavaliere nel centrodestra. È a lui che pensa Maroni (che pure non lo ama) quando ipotizza di andare al voto con un candidato nuovo. È a lui, più che a se stesso, che si riferisce Casini quando parla di grande coalizione, proposta da Tremonti in Italia prima che la Merkel la attuasse in Germania: un governo sostenuto anche dalla sinistra sarebbe l’unico in grado di attuare le politiche impopolari per abbattere il debito pubblico e fare le riforme. Ferrara è convinto invece che la crescita possa ripartire subito. E qui c’è la principale ragione di contrasto con Tremonti.
Il ministro dell’Economia non solo tende a vivere come un’invasione di campo gli interventi che sconfinano nel suo «dominio riservato» . Non solo reagisce con insofferenza all’accusa di mancanza di lealtà («ho giurato fedeltà alla Repubblica nel governo Berlusconi, e per me la fedeltà è un valore insieme morale e politico» ). Ma, nelle conversazioni informali, ha fatto notare che il «piano Ferrara» pare scritto da una penna brillante ma digiuna di economia. Non solo per le contraddizioni in termini (difficile tenere insieme il taglio delle tasse e la riduzione del debito). È la logica libresca e teorica a convincere poco il ministro. Come se il pil fosse deciso a tavolino dai governi, anziché determinato dalla competitività delle imprese. Come se un governo potesse agire di testa propria, proprio nel semestre in cui l’Europa si dà una politica economica comune. Tremonti si rende conto che l’idea di Ferrara è più sottile: arruolarlo nel partito della «botta secca» al debito pubblico richiesta dalla Germania, accomunarlo ai sostenitori della patrimoniale o comunque del rigore impopolare. Mentre, nell’idea del ministro dell’Economia, il piano per la crescita si farà, e in tempi brevi, ma in modo serio, di concerto con l’Europa, e partendo proprio da quell’emergenza Sud di cui si è voluto rendere conto di persona nel viaggio su cui Ferrara («il ministro si è allontanato dalla conferenza stampa perché aveva un treno tra cinque minuti» ) non ha risparmiato ironie. In ogni caso, ieri Tremonti ha badato a non rispondere all’editoriale del Giornale. Consapevole che il vero obiettivo dell’Elefantino potrebbe essere non tanto dettare la politica economica, quanto trascinare il possibile erede di Berlusconi nell’agone della battaglia con i magistrati e le opposizioni.
«Ma no— assicura Ferrara al telefono —, non pretendo affatto che Tremonti si trasformi in un militante politico del berlusconismo più acceso. Non sono un bambino. E non credo a un Tremonti che punti a restare in piedi da solo tra le macerie del suo campo politico. Però il ministro dell’Economia non può disinteressarsi alla proposta per la crescita. Finora ha reagito come fosse un passante o la piccola vedetta lombarda, immobile e silenziosa; oppure con battute alla Arbasino, come quella del treno da prendere. Invece dovrebbe aprire una discussione pubblica. Se ritiene che il piano non può essere realizzato, lo dica. Oppure convochi il ministro per le attività produttive fino alle 5 del mattino e ne esca con 5 punti per il rilancio, che non possono essere a costo zero ma vanno finanziati con nuovi tagli. Se invece pensa – ma io non lo credo -alla botta secca che gli chiedono Amato e la Merkel, sappia che da un ulteriore aumento della pressione fiscale sarebbe travolto il governo, e lui stesso» .
Aldo Cazzullo