Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  febbraio 13 Domenica calendario

LE PERIPEZIE DEL FRATE CHE OSO’ ASSOLVERE CAVOUR IN PUNTO DI MORTE - A

vent’anni da Tecniche dell’adulterio (Camunia 1991), breve romanzo letterario, protagonisti i gemelli Fausto e Giacomo, proiezioni antitetiche da Goethe e Casanova, con Il confessore di Cavour Lorenzo Greco torna alla narrazione rivisitando una figura assai nota agli storici del Risorgimento partendo da un manoscritto autentico: padre Giacomo da Poirino (1808-1885), francescano dei Minori Riformati. Una vicenda dai risvolti drammatici per questo frate che ha voluto vivere sino in fondo il ministero sacerdotale, pagando duramente lo scontro tra ragioni contrapposte di Stato e Chiesa. Perché fra Giacomo, divenuto negli anni Cinquanta sempre più intrinseco del suo parrocchiano Cavour, avverte come dovere di coscienza sacerdotale amministrargli i sacramenti in punto di morte, pur se colpito da scomunica papale. Ed è l’inizio delle sue tribolazioni: non tanto per l’atto in sé (in casi analoghi s’era glissato), quanto per la possibile manipolazione politica di quegli ultimi momenti di Cavour. Di qui la convocazione a Roma, pressioni e interrogatori del suo padre Generale, del Papa, del padre Inquisitore per farlo ritrattare; senza però smuovere fra Giacomo da un gesto che ritiene dettato da un dovere di coscienza (e con tanto di segreto del confessionale). La conseguenza è la sospensione a divinis, da lui avvertita con particolare sofferenza per la impossibilità di dir messa e confessare, e che lo porterà, a 74 anni, nel 1882, a chiedere a Leone XIII di restituirlo al ministero sacerdotale (così la lettera pubblicata il 29 settembre 2010 dall’ «Osservatore romano» ), ottenendolo solo tre anni dopo, la vigilia della morte. La scelta narrativa di Greco propendente per l’io narrante di fra Giacomo è in tal senso coerente col manoscritto Notizia del mio viaggio per Roma (riproposto in appendice), ma pure con l’io narrante del Giacomo del precedente romanzo. Ed è scelta felice perché consente di operare per ragioni interne, tra interrogazioni, dubbi, riflessioni, memorialità, sguardo su quanto lo circonda a Roma e Torino, così penetrando vita e coscienza del sacerdote. E non è un caso che proprio quando l’io narrante registra voci altrui— i confratelli del convento romano che parlano di quanto accade in politica — le pagine si fanno referenzialmente piatte, da rassegna storica, abdicando momentaneamente all’intento d’un racconto come «interpretazione morale e insieme una ricostruzione letteraria» per certi aspetti attuali (così Greco). Anche se non tutto mi convince: come la vecchia lettera del Papa che l’autorizzava ad amministrare i sacramenti a Cavour, contraddetta nei fatti, dimenticata da fra Giacomo e negata più tardi dall’amico fra Paolino (sin qui bella figura, purtroppo sfregiata); le pagine da feuilleton televisivo con Pio IX recatosi nottetempo in incognito a confessarsi dal frate, prima di sospenderlo a divinis; i riferimenti ai cappuccini (specie pagina 53), quasi a confonderli coi Minori Riformati di fra Giacomo; il termine Priore anziché Guardiano. Il pregio sta invece nella dimensione interiore del racconto. Che si riverbera nei ritratti di tanti frati (non così il Papa, troppo calcato). E nel Cavour privato, familiare, malinconico. Tra debolezze da gaudente di donne e cibo e terrore di malattia e morte.
Ermanno Paccagnini