Massimo Gaggi, Corriere della Sera 13/02/2011, 13 febbraio 2011
QUEI «SUPEROBIETTIVI». CHRYSLER E LA RINASCITA INCOMPIUTA DI DETROIT —
John Elkann e Sergio Marchionne rassicurano il governo: anche se il gruppo si espande e diventa sempre più internazionale, il cuore della Fiat resterà italiano. E’incontestabile, però, che quello dell’amministratore delegato batta più per Detroit che per Torino. E non solo perché l’abruzzese-canadese Marchionne ha ben poco di sabaudo. La determinazione con cui ha imposto un cambio di rotta delle relazioni industriali nel nostro Paese— e a Mirafiori in particolare— ha creato attorno a lui, in Italia, un clima venato di scetticismo e di rancore, molto diverso da quello di fiducia e gratitudine che respira nella «miracolata» Detroit. Il clima pesa, ma nemmeno questo è un fattore determinante: a spostare lentamente il baricentro del gruppo verso l’America c’è soprattutto la realtà di un sistema produttivo Usa più flessibile e di un mercato che può dare a Fiat-Chrysler soddisfazioni molto maggiori di quelle possibili in Italia e anche in Europa. Finalmente armato di nuovi modelli (in realtà siamo ancora all’aggiornamento di quelli esistenti, ma con arricchimenti significativi), il gruppo punta quest’anno a incrementare le sue vendite in Nord America addirittura del 45%. Un obiettivo audace, sostenuto da una strategia di commercializzazione ancor più spregiudicata. Il "pokerista"Marchionne si gioca tutto investendo il 68%in più in pubblicità a cominciare dal «megaspot» di Eminem durante la finale del Super Bowl. Un lungo filmato che, più che una presentazione della nuova vettura (la Chrysler 200) al centro del video, è un inno d’amore a Detroit, alla sua operosità, alla sua capacità di rinascita. «Azzardato buttare soldi senza raccontare un prodotto» , hanno subito detto i molti critici. Lo spot, però, ha avuto molto successo: su YouTube è diventato uno degli hit della settimana (è stato già visto quasi sei milioni di volte). Evidentemente l’orgoglio, la voglia di riscatto pagano, almeno negli Stati Uniti. Ma Detroit è davvero quella città rinata che emerge dalla pubblicità Chrysler e da qualche ritratto oleografico sulla stampa? Niente affatto. Quello che General Motors, Ford e Chrysler stanno ricostruendo sono alcune isole vivibili in un mare di desolazione. Lo racconta lo stesso sindaco Dave Bing al giornale della sua città di origine, Washington (si trasferì a Detroit nel 1966, quando giocava a basket e fu preso dai «Pistons» ). «Ventuno mesi fa, quando sono stato eletto, ho trovato una città spopolata e sull’orlo della calamità finanziaria» . In quasi due anni le cose non sono cambiate molto: il sindaco non sa come dire ai suoi cittadini che non è più in grado di far arrivare l’acqua, i camion della spazzatura e altri servizi comunali nella maggior parte dei quartieri. — ha chiesto aiuto ad architetti, urbanisti e fondazioni filantropiche per ridisegnare e rilanciare la città. Sono molti i benefattori che stanno cercando di trasformare le parti abbandonate, le fabbriche dismesse, in aree verdi. In alcune di queste zone nasceranno vere e proprie fattorie urbane. Con un terzo dell’area di Detroit pressoché disabitata — una superficie grande quanto l’intera città di Boston — prendono consistenza soluzioni alla New Orleans: la città della Louisiana dove il rischio-alluvioni suggerisce di lasciare totalmente disabitate vaste porzioni del vecchio agglomerato urbano. Detroit non è stata costruita sotto il livello dei corsi d’acqua come New Orleans, ma ha subito l’uragano di una massiccia deindustrializzazione. Chiunque viaggia dal ciuffo di grattacieli del centro agli stabilimenti ancora attivi o appena riaperti, si rende conto— attraversando interi quartieri di case bruciate e marciapiedi pieni d’erba — che, anche se l’America riuscirà a rilanciare le sue manifatture, come promette Obama, Detroit non potrà mai tornare al suo antico splendore di capitale industriale. Ma forse è proprio questo che piace a Marchionne di Detroit: una città che non può sedersi a contemplare il suo antico blasone. Un luogo che, per tornare a respirare, non può sperare in una semplice ripresa: deve rivoluzionare tutto, reinventare completamente il suo futuro. Con molto coraggio e poche illusioni.
Massimo Gaggi