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 2011  febbraio 13 Domenica calendario

ACADEMIE FRANCAISE, LA MALEDIZIONE DELLA POLTRONA 32. IL POSTO AMBITO DAI LETTERATI —

Ci teneva tanto, lo scrittore François Weyergans, a diventare un «Immortale» di Francia. Era il suo sogno da quando aveva 14 anni, e in un raro momento di iperattivismo nel 2009 scrisse una lettera personale a tutti i 39 membri dell’Académie Française per candidarsi. A sorpresa, fu accontentato dopo neanche un mese. E allora, perché non si è mai presentato? Come è possibile che non abbia ancora fatto il suo ingresso— in uniforme verde e spadino, come vuole la tradizione — all’Institut de France, sotto la Coupole che già sovrastò Voltaire e Victor Hugo? E il bello è che il predecessore di Weyergans, Alain Robbe Grillet, fece lo stesso, quel posto è vuoto dal 2003: è la maledizione della poltrona 32.
L’Académie Française venne fondata nel 1635 dal cardinale Richelieu per aggiungere all’unificazione politica e amministrativa dello Stato francese anche la dimensione linguistica: gli accademici stabilirono le regole del francese, unico idioma da imporre in tutto il Paese, e da allora ne sorvegliano purezza ed evoluzione. Richelieu fu il primo protettore dell’Accademia, alla quale concesse il sigillo con la scritta «A l’immortalité» che rende i suoi 40 membri «Les immortels» . Il ruolo di protettore fu poi rivestito dal cancelliere Séguier, da Luigi XIV e via via da tutti i re, imperatori e capi di Stato della storia di Francia fino all’attuale presidente Nicolas Sarkozy, secondo una continuità che è tra le più nobili tradizioni della «monarchia repubblicana» d’Oltralpe.
Per storici, letterati, uomini di scienza o di Chiesa, entrare all’Accademia è la consacrazione suprema, ma la poltrona 32 resta deserta. Robbe Grillet, il papa del nouveau roman, non accettò mai di rinunciare al suo eterno girocollo bianco per indossare l’uniforme verde obbligatoria, e Weyergans non trova il tempo di adempiere a tutti i riti: dovrebbe chiedere udienza al presidente della Repubblica, farsi confezionare l’abito, il mantello e il copricapo bicorno, e scrivere il discorso solenne di accettazione con l’elogio del predecessore. Tanto, troppo per un uomo noto per non riuscire a rispettare il minimo impegno della vita quotidiana, che ha scritto otto romanzi in quarant’anni e che il premio Goncourt l’ha vinto con «Tre giorni da mia madre» (Gaffi), storia di una visita familiare infinitamente rimandata.
Una nuova data per la cerimonia solenne di Weyergans a quanto pare sarebbe il prossimo 16 giugno, ma per un procrastinatore dal calibro di Weyergans un impegno simile, più che un traguardo, è una trappola da scansare. All’epopea della poltrona 32 non sono però estranei altri eventi: nel 1975 Robert Aron morì cinque giorni prima dell’ingresso alla Coupole, il suo predecessore Georges Izard vi resto seduto solo due anni (un po’ poco per un Immortale), e Louis-Simon Auger (eletto nel 1816) fu così felice di occupare quel seggio da morire suicida. Non vorremmo essere nei suoi (verdi) panni, signor Weyergans.
Stefano Montefiori