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 2011  febbraio 13 Domenica calendario

OBAMA SI AFFIDA AI MILIATARI E GUARDA AL «MODELLO INDONESIA» —

Con i generali al potere, la Casa Bianca si affida a chi li conosce meglio. In questi giorni, il canale di comunicazione è stato affidato al segretario alla Difesa Robert Gates e al capo di stato maggiore Mike Mullen che hanno consultato i loro pari grado egiziani. Telefonate, messaggi, scambio di idee. Un ruolo più discreto, invece, per il vice presidente Biden che aveva coltivato un buon rapporto con Omar Suleiman, ex capo dell’intelligence e uomo chiave al fianco del raìs. Un reticolo di rapporti di alto livello che nei prossimi giorni potrebbero estendersi ai quadri intermedi. Quegli ufficiali che hanno frequentato i corsi nelle basi americane o alla prestigiosa National Defense University di Washington. Una realtà che gli americani non possono trascurare. Molti osservatori affermano che i generali non hanno usato i tank contro la folla perché sapevano che la truppa non avrebbe obbedito. Se il consiglio supremo è composto da uomini promossi da Mubarak — e ne hanno tratto beneficio — tra i sottoposti non sono pochi coloro che hanno manifestato sfiducia verso un apparato «vecchio» . Critiche che hanno raggiunto anche il vertice della Difesa, l’anziano ministro Mohammed Tantawi, considerato incapace di adattarsi ai cambiamenti. E del resto il generale non aveva grande voglia di restare: per tre volte aveva presentato le dimissioni ma il raìs le aveva respinte. Ora si trova a guidare, almeno formalmente, il Consiglio supremo. Al suo fianco il generale Sami Enan, il capo di stato maggiore sul quale gli Usa sembrano aver puntato. Tantawi si è formato nell’allora Urss, Enan negli Stati Uniti e, il giorno che è scoppiata l’insurrezione, era nella capitale americana. Interrotta la missione, è tornato al Cairo dove avrebbe detto no all’ordine del raìs di attaccare la folla. Ogni segnale può aiutare Washington a decifrare l’equilibrio del potere all’interno delle caserme. Chi comanda davvero? Sono compatti? E si ricorda quanto avvenne dopo il rovesciamento di re Faruk nel 1952. Il «movimento degli ufficiali liberi» era guidato da Mohammed Naguib ma poi fu estromesso dal numero due Gamal Nasser, contrario alle aperture. Nel vuoto politico e di potere che si è aperto in Egitto — e in qualche modo in Nord Africa — la Casa Bianca non ha molte scelte. E dunque deve appoggiare i militari, sperando che mantengano la promessa di cedere il potere ai civili e rispettino— come hanno ribadito ieri — gli accordi internazionali. La decisione di lasciare in carica il governo attuale «per sbrigare la normale amministrazione» può far infuriare i dimostranti ma è anche un segno che i generali non lo vogliono sostituire con una giunta in divisa. In attesa degli sviluppi, gli americani lasciano trapelare sulla stampa i loro auspici. Accompagnati dai modelli. Sul Wall Street Journal si è tornati a paragonare l’Egitto all’Indonesia. Molte le analogie. Un dittatore, Suharto, in sella per 30 anni. Repressione spietata verso islamici e comunisti. Ottime relazioni con gli Usa. Poi, nel 1998, il golpe dei militari che hanno garantito il processo democratico, con il Paese diventato un simbolo di successo economico. È stato lo stesso Barack Obama a citare il caso indonesiano e lo ha fatto sulla base della sua esperienza personale. Da bambino ha vissuto nel Paese e ancora ricorda il clima di terrore che opprimeva la società. Non tutti sono d’accordo con il paragone e sottolineano la peculiarità egiziana per la presenza dei Fratelli musulmani, invisi ai generali. Ma anche della minoranza copta— — 8 milioni che attendono risposte sulla loro condizione. Altri osservatori rammentano quanto avvenuto in Sudan nel 1985: i soldati si liberano del presidente Nimeiri e affidano poi il potere ai civili. Ma più che pensare ai modelli — sempre difficili da esportare— gli Stati Uniti potrebbero accompagnare un sentimento diffuso al Cairo. La «fierezza di essere egiziani» . La sentono i dimostranti, la vivono i soldati. Il futuro è incerto, potrebbero esserci sorprese. Ma dopo anni di buio e di aspirazioni negate si ritrovano ad esseri protagonisti. Di una «rivoluzione» che è anche una rivincita. Abdallah al Ashaal, un ex premier, ha spiegato come Mubarak, in questi anni, avesse limitato il peso dei militari. Non si sono mai ribellati perché avevano trovato il modo di bilanciare con prebende, privilegi e gli affari gestiti dai loro colleghi passati al privato. Ai più gallonati forse andava bene così, meno alla base. Ora, finalmente, si sentono emancipati.
Guido Olimpio