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 2011  febbraio 13 Domenica calendario

IN BALIA DEL CLIMA

Le scarpe affondano nella sab­bia rossastra dei vicoli sterrati che partono da Boon, arteria piena di vita e bazar che taglia la ba­raccopoli di Pikine, attorno a Dakar, sulla quale si affacciano le nuove ca­se costruite dagli emigrati in Euro­pa. Ma dietro, nella casbah, si na­sconde la propaggine estrema e po­verissima della cintura metropolita­na, Keur Massar, area endemica.
È un febbraio fresco e secco, la zona è brulla. Ma tutti pensano già con ansia alla stagione delle piogge esti­ve. Le banlieu di Dakar contano in­fatti un numero imprecisato di abi­tanti, destinato a crescere per l’eso­do dalla campagna dovuto alle allu­vioni. Per ora ci vivrebbero tre mi­lioni e mezzo di persone. Non ci so­no baracche, ma case impastate di fango dove si ammassano famiglie da 10 a 25 unità (qui il 95% della po­polazione è musulmano, e vige la poligamia), arrivate nella capitale se­negalese negli anni 80, in fuga dalle campagne del Sahel allora arse dal­la siccità. Oggi le raggiungono i pa­renti espulsi da un fenomeno nuo­vo per il Senegal, le inondazioni.
Sono i profughi climatici di cui si è parlato al Forum sociale mondiale. Ma neppure nella metropoli trova­no scampo. Da cinque anni infatti la gente di periferia, segnata dalla mi­seria, lotta con le alluvioni, le pozze permanenti di acqua stagnante e la malaria urbana. Che non è letale gra­zie agli interventi di cura e preven­zione pagati soprattutto dagli Usa. Ma poiché qui ci si ammala più vol­te l’anno, è difficile lavorare o stu­diare. Così, sulla via nazionale, la Route de Roufisque, a soli dieci mi­nuti di Siper , gli affollati e variopin­ti pullmini collettivi, diverse multi­nazionali hanno aperto stabilimen­ti attratte dagli sgravi fiscali. Ma cer­cano manodopera sana e qualifica­ta, qui pochi rientrano nella catego­ria. E così la miseria si perpetua.
«Il clima è cambiato e noi paghiamo il conto – allarga le braccia il re­sponsabile della comunità di quar­tiere, monsieur Babacar –, le preci­pitazioni estive sono aumentate. L’acqua ci entra in casa di notte e non possiamo farci niente. I bambi­ni si ammalano, noi stiamo male. La­voro? Non c’è per noi e, con i con­trolli di Frontex davanti alle Cana­rie, non si arriva più in Europa».
Sono dunque i più poveri di Dakar a fare le spese dei cambiamenti cli­matici. Queste sono terre sotto il li­vello del mare e le piogge violente hanno eroso il suolo, alternandone la morfologia, sostengono i tecnici, che così non drena più. Tradotto, tra le casupole fino a pochi anni fa i mo­nelli scorrazzavano su stradine im­polverate a piedi nudi dietro a una palla. Oggi hanno il moccolo al na­so e tossiscono per la bronchite, per­ché diversi mesi l’anno passano la giornata con i piedi nelle pozze di acqua fetida e stagnante, contesto i­deale per la riproduzione della zan­zara anofele che trasmette la mala­ria. Il compito di Babacar e del suo gruppo consiste nell’azionare una pompa a motore per risucchiare l’ac­qua.
«Ma è tutto inutile – sbotta madame Diallo, matrona che possiede una ca­sa di quattro locali proprio davanti alle pozze, divisa con le altre due mo­gli del capofamiglia e otto bambini – perché poi torna a piovere e noi pas­siamo le notti in mezzo all’acqua». Entriamo nella sua abitazione, una casetta di argilla e cemento di quat­tro stanze. Nell’aria c’è cattivo odo­re di umido, le pareti sono chiazzate di muffa, i materassi sono sollevati dal pavimento di terra battuta. Invi­vibile.
«Mancano acqua potabile ed elet­tricità », si lamenta la sua vicina An­na. Problemi per il quale il governo rischia sommosse popolari sulla fal­sariga del Maghreb. «Ci ammaliamo di malaria due volte l’anno – prosegue – e mio ma­rito Alexander riesce a svolgere solo lavori precari. Tutti abbiamo acquistato la casa, ma non riuscia­mo a venderla. Siamo bloccati in queste condizioni».
È la nuova povertà da cambiamen­to climatico. Le conseguenze sani­tarie le spiega un’infermiera del di­spensario comunale, nel dedalo di vicoli senza nome. «A Keur vivono 7.000 abitanti – afferma Jasmine –, tutti a rischio. La mortalità è nulla perché distribuiamo i farmaci e, gra­zie alla Caritas del Senegal, reti im­pregnate di repellente da mettere sui letti. Ma serve a poco».
La verità è che Keur Massar andreb­be abbattuta e le famiglie spostate. Il governo però dice di non avere sol­di e la rabbia cresce. Spesso gli abi­tanti esasperati inscenano dimo­strazioni e la tensione resta alta. An­che perché quando le autorità in­tervengono, la situazione peggiora. A Sant Yalla, spiazzo una volta co­perto da terra brulla, le ruspe han­no scavato due enormi buche per convogliarvi l’acqua. Risultato, due pozze da un chilometro quadrato l’una di acqua inquinata, dove le zanzare brulicano vicino alle case e in riva alle quali gioca un esercito di bambini. Uno è annegato a settem­bre, mentre cercava di recuperare la palla finita in acqua. La rivolta in Se­negal, dicono, partirà dalle peri­ferie che sprofondano, tra­volte dal clima impaz­zito.