FRANCESCO GUERRERA, La Stampa 14/2/2011, pagina 10, 14 febbraio 2011
WALL STREET E LA RIBELLIONE DEI BONUS
Wall Street si sta appassionando ad una sollevazione spontanea di migliaia di persone contro un regime ritenuto ingiusto ed oppressivo.
Purtroppo, gli «eroi» di questa ribellione non sono accampati in piazza Tahrir, il centro focale della rivolta egiziana, ma vivono in case principesche nel Connecticut e lavorano in grattacieli sontuosi sulla punta di Manhattan.
Mentre il resto del mondo è avvinto dal tentativo di rivoluzione di velluto del Cairo, le ansie dei banchieri americani sono concentrate su una questione molto più prosaica: le loro buste paga. L’inizio di febbraio è sempre un periodo di passione nel mondo dell’alta finanza perché molte banche pagano i bonus annuali nelle prime due settimane del mese. Da New York a Londra, da Zurigo ad Hong Kong, i conti correnti di centinaia di banchieri e operatori di borsa vengono gonfiati da assegni a sei-sette cifre che, di solito, non sono abbastanza per soddisfare l’alta opinione che i signori di Wall Street hanno di se stessi. Febbraio è il mese delle dimissioni e del passaggio alle banche rivali o a hedge fund che offrono più soldi e la promessa di promozioni, in un calciomercato della finanza in cui i prezzi non scendono mai. Per sapere che l’inverno è quasi finito, io non guardo il calendario, ma il mio Blackberry: quando incomincio a vedere e-mail di banchieri inquieti che parlano di «nuove opportunità in un nuovo ambiente», di «un cambiamento necessario per rimanere al top della professione», so che la primavera è ormai dietro l’angolo.
Quest’anno, però, è diverso. Quest’anno, per la prima volta in decenni, il clima politico e sociale ha costretto le banche a pagare gran parte dei bonus non in contanti ma in azioni e altri strumenti che non possono essere toccati per tre anni. Avete letto bene: tre anni. Gente che ha fatto della soddisfazione immediata la sua raison d’être dovrà aspettare 1.095 giorni prima acquistare un’altra Ferrari, aggiungere una nuova ala alla casa ai Caraibi e prenotare quello yacht che desideravano da mesi. E non solo per il 2010. Convinte che una delle ragioni della crisi sia stata la passione di banche ed investitori per scommesse a breve termine sui mercati, le authority di settore vogliono creare buste paga che incoraggino una mentalità più a lungo raggio.
Proprio questa settimana, i regolatori americani hanno deciso che le grandi banche dovranno dilazionare metà’ dei bonus per almeno tre anni ed introdurre «clawbacks» – «artigli» legali che permetteranno loro di recuperare parte della retribuzione di operatori che commettono errori o provocano perdite alla società. L’Europa non è da meno, avendo fissato la porzione di bonus che può essere pagata in contanti al 20 per cento. Dal «tutto (il bonus) e subito» alla lunga attesa - il cambiamento è epocale ed ha suscitato una risposta immediata nei piani buoni dei grattacieli delle capitali finanziarie del mondo.
Alcuni banchieri mi hanno detto che non si sono presentati al lavoro per una settimana per protestare («se dilazionano la paga, io dilaziono il lavoro» ha proclamato uno con l’orgoglio di chi è pronto a prendere la Bastiglia). Altri hanno giurato e spergiurato di andarsene via non appena i soldi del 2010 arrivano sul conto verso hedge fund e altre parti del settore finanziario che sono meno regolate. Un paio hanno persino minacciato di cambiare lavoro, di abbandonare un settore che non li ama più come un tempo. Reazioni come queste sono comprensibili nella loro emotività ma non fanno altro che sottolineare l’importanza di una riforma seria e radicale del sistema di remunerazione dell’industria finanziaria. Più di ogni altra professione, i banchieri d’affari e gli operatori di mercato misurano il loro «valore» in termini monetari. La passione per quello che fanno, la quotidiana lotta con problemi interessanti e la funzione sociale del loro mestiere – facilitare investimenti che aiutano la crescita economica - sono fattori meno importanti del bonus annuale.
Parafrasando Cartesio, «guadagno tanto quindi sono». E’ una visione miope che non tiene in considerazione il posto che le banche dovrebbero occupare in un’economia moderna. Come strumenti di trasferimento del denaro (dai risparmiatori agli investitori e viceversa), le società finanziarie sono la cintura di trasmissione del motore economico, non il suo pistone principale. Perché dunque, pagare uno degli ingranaggi molto più delle altre parti?
Le grandi capacità intellettuali dei banchieri – e la loro formazione culturale – possono forse giustificare un «prezzo» più elevato di chi fa altri mestieri ma è difficile pensare che debba essere ad un livello centinaia di volte più alto del salario medio. E che debba essere pagato tutto in contanti ogni dodici mesi. Ma c’è un’altra deficienza nella rabbia e delusione espressa dai banchieri per i nuovi bonus ed è la mancata percezione del mondo che li circonda. Con un americano su dieci disoccupato, l’economia europea in grave crisi e una calamità finanziaria i cui effetti sono ancora vivi, lamentarsi del fatto che parte del bonus verrà dilazionato è non solo cattivo gusto ma anche controproducente.
Sfidare un’opinione pubblica che non si è ancora risollevata dal peggiore terremoto economico dai tempi della Grande Depressione degli Anni 30, ed una classe politica sotto accusa per aver fatto poco per riequilibrare la situazione, è veramente giocare col fuoco. Senza dimenticarsi che, nel suo merito, l’idea di scaglionare le buste paga nel lungo termine potrebbe essere l’inizio di una nuova era. Sarà forse vero, come dicono quasi tutti i banchieri con cui parlo, che i grandi bonus non hanno «causato» la crisi del 2007-2009, ma non l’hanno certo evitata. Costringere il mondo della finanza a pensare alle conseguenze delle sue azioni non sul mercato di domani o dopodomani ma sulle prospettive dell’economia globale tra tre anni mi sembra una politica sensata dopo anni di eccessi ed ingordigia. Se hanno tempo ed energie, quando hanno finito a piazza Tahrir, forse i dissidenti egiziani potrebbero fare una puntata a Manhattan.