Alain Elkann, La Stampa 13/2/2011, pagina 20, 13 febbraio 2011
“I primi film li ho visti da Mussolini” - Luciana Castellina, lei ha appena pubblicato per l’editore Nottetempo «La scoperta del mondo», un diario su quattro anni di vita, dal 25 luglio del 1943 all’ottobre 1947, quando si è iscritta al Partito Comunista
“I primi film li ho visti da Mussolini” - Luciana Castellina, lei ha appena pubblicato per l’editore Nottetempo «La scoperta del mondo», un diario su quattro anni di vita, dal 25 luglio del 1943 all’ottobre 1947, quando si è iscritta al Partito Comunista. Perché ha scelto come prime immagini le partite a tennis con Anna Maria Mussolini a Riccione? «L’ho iniziato sul retro di un quaderno di scuola scrivendo come titolo “Diario politico”. Avevo ritrovato Anna Maria a Riccione, eravamo state compagne di scuola al liceo per anni, e mentre quel pomeriggio giocavamo a tennis è arrivato un agente di polizia che ha interrotto la partita dicendo ad Anna Maria che doveva partire. Io sono rimasta interdetta, ho capito che doveva esser successo qualcosa e con una bicicletta ho raggiunto i nostri amici. La radio di notte ha annunciato la caduta di Mussolini, così abbiamo passato la notte ascoltando Radio Londra. Il giorno dopo sul mare i cutter a vela hanno alzato il Gran Pavese per celebrare la caduta del Fascismo. In albergo ci hanno dato un menù speciale dicendoci: “Oggi ci sono le tagliatelle con la farina bianca perché a Riccione si festeggia”. Valerio Zurlini era il mio vicino di tendone in spiaggia. Quindici anni dopo ho visto il suo film “Un’estate violenta”, che raccontava proprio ciò che era successo quel giorno a Riccione». Come era Anna Maria Mussolini? «Molto arrogante perché consapevole del suo potere come figlia di Mussolini, ma era anche ironica e sfottente: prendeva in giro con cattiveria tutti quelli che avevano paura di Mussolini. Ricordo che commentava in classe ad alta voce il bollettino di guerra alle ore 13. Raccontava ciò che il padre diceva a casa («Il re è un cretino!»), e il povero professore era terrorizzato». Lei frequentava anche Villa Torlonia? «In poche della classe eravamo invitate nella casa dove abitava la famiglia Mussolini. Nel parco c’era una sala cinematografica gestita dall’Istituto Luce dove vidi i primi film della mia vita. Lì molte persone si radunavano attorno a Vittorio Mussolini che dirigeva la rivista “Cinema” su cui scrivevano registi come Lizzani, che poi sarebbero diventati famosi». Che atmosfera c’era in casa Mussolini? «Noi giocavamo nel giardino, alle cinque portavano la merenda a Anna Maria e Romano ma non a noi. Mia madre era indignata di questo, ma i ragazzi erano affidati agli agenti di polizia a cui non era stato dato ordine di offrire i panini agli ospiti». E donna Rachele com’era? «La si vedeva di rado. Romano Mussolini invece, essendo un po’ più grande, non giocava quasi mai con noi bambine». Intanto nella sua casa fin dal ‘43 vengono nascosti molti suoi parenti ebrei provenienti da Trieste, la città dei suoi nonni. «Erano sicuri che Roma sarebbe stata liberata prima. In realtà sia noi che loro eravamo ignari del pericolo che correvamo». Quando scoprì i campi di concentramento? «Dopo il ‘45. Nel momento in cui Roma fu liberata non sapevo ancora cosa succedeva nel mondo e cosa fosse la Resistenza». Come è diventata comunista? «Per via di mio nonno triestino grande amico di Oberdan con cui era scappato. Il mito di Trieste italiana aveva afflitto la mia giovinezza. A maggio del ‘45 ci furono le prime manifestazioni per Trieste italiana perché si era aperto un negoziato sul futuro della città e dell’Istria. Io partecipai a una grande manifestazione in piazza dell’Esedra. In realtà la piazza era piena di operai comunisti che ci picchiarono di santa ragione perché la nostra manifestazione, senza che lo sapessimo, era diretta da un fascista, un certo Penna Bianca. E questi fascisti poi dettero l’assalto alla sede del Pci. Da lì uscì un drappello di comunisti che fecero un comizio: per la prima volta sentii parlare di Trieste. Incuriosita, andai a cercare i comunisti che animavano il circolo culturale del Tasso: tra loro c’erano Citto Maselli, Sandro Curzi, Lietta Tornabuoni. Siccome volevo fare la pittrice, mi affidarono una relazione sul cubismo...». Ha poi realizzato quel desiderio? «No, perché ho scoperto di non avere qualità. Però in quegli anni la pittura è stata importantissima nella formazione politica e culturale della nostra generazione. Le prime mostre di pittura contemporanea le organizzavano i partiti politici. I pittori litigavano tra loro, ma in fondo erano tutti comunisti». Fece poi dei viaggi? «Prima scoprii le periferie romane come la Garbatella, un mondo di cui non avevo nemmeno il sospetto. Poi i viaggi organizzati dal Fronte della Gioventù, il primo dei quali mi portò a Parigi. La capitale francese era sinonimo di scoperta del mondo, e per noi il mondo allora era Parigi». Ha conosciuti gli esistenzialisti? «Sì, alcuni protagonisti della grande stagione di Saint-Germain-des-Prés, da Sartre a Vadim a Juliette Gréco». Poi, se non sbaglio, vi fu il viaggio a Praga. «Avvenne nel ‘47, in occasione del festival della Gioventù che si tenne nella capitale cecoslovacca e che fece seguito all’esplosione di gioia per la fine della guerra: nonostante fosse già iniziata, non si avvertivano ancora i segnali della Guerra Fredda. È lì che feci conoscenza con popoli sconosciuti - cinesi, indonesiani, vietnamiti, ma anche di altri Stati europei - e con le loro storie che ignoravo del tutto. Al ritorno, avevo appena compiuto diciotto anni, decisi che bisognava impegnarsi per cercare di cambiare il mondo. C’era la speranza e la fiducia di poterlo fare, ma si sapeva che le cose non sarebbero state così facili. Allora mi iscrissi al Partito Comunista, e pochi mesi dopo finii in galera: mi arrestarono quando ci fu l’attentato a Togliatti e io facevo parte di quelli che scesero in piazza. E non è stata l’unica volta: nel ’63 vi rimasi addirittura due mesi».