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 2011  febbraio 12 Sabato calendario

IL MONDO ARABO ENTRA NEL FUTURO

Noi credevamo che un giorno potesse accadere. Ma loro, i ragazzi di Piazza Tahrir, ci hanno creduto più di tutti. Da due settimane vado a dormire e mi alzo con la rivoluzione: li ho visti morire su fragili barricate, lanciando pietre contro pallottole, e loro hanno insistito, con coraggio, tenacia, intelligenza, sia pure feriti, gettati in carcere, inseguiti dalle bande sguinzagliate dal regime. Ogni giorno i giovani di Facebook sono diventati sempre di più e hanno trascinato un popolo intero. La “repubblica di Tahrir” è diventata l’Egitto, lo specchio di un paese.

Davanti a queste prove di eroico patriottismo, anche i militari, rimasti arbitri della situazione, si sono convinti a scendere in campo liquidando il presidente Hosni Mubarak e annunciando che il potere era passato in mano al Supremo consiglio militare presieduto dal ministro della difesa Mohammed Tantawi, in coordinamento con la Corte costituzionale. Hanno sciolto il governo del premier Ahmed Shafik e le Camere, aggirando tra l’altro la Costituzione che prevede in questi casi di passare la presidenza allo speaker del Parlamento.

Comandano e governano i generali insieme al presidente della Corte, lasciando per il momento nel limbo la sorte di Omar Suleiman, un vicepresidente forse esautorato. I militari sono l’epicentro del potere ma non accadeva dal 1952, quando Nasser mise a segno il colpo di stato dei «Giovani ufficiali», che le forze armate guidassero direttamente il paese.

I ragazzi di piazza Tahrir hanno evocato questa specie di golpe bianco, dove senza sparare un colpo, sull’onda di una sollevazione popolare, i militari hanno spazzato via il presidente. La domanda è se hanno liquidato anche un intero regime. Forse non è questo l’obiettivo dei generali che vogliono salvaguardare, oltre che il paese dal caos, il ruolo centrale delle forze armate. Il Maresciallo Tantawi, 82 anni è tutt’altro che un giovane ufficiale e non è certo un "progressista": nell’esercito dal ’56, capo del contingente egiziano nella guerra del Golfo del ’91, ministro della Difesa da vent’anni. Ha rotto con Mubarak, che pure ha fedelmente servito per decenni ma il suo è sicuramente un comando nel segno della continuità. Per cominciare si è fatto acclamare dalla folla assiepata davanti al palazzo presidenziale di Heliopolis, un gesto che forse ha qualche significato: è più anziano di Mubarak ma deve coltivare delle ambizioni. Fa parte del gruppo di ufficiali che hanno osteggiato la successione al padre di Gamal Mubarak, un banchiere distante dalla mentalità dei generali.
I rivoluzionari e la maggioranza degli egiziani si augurano che i militari, come promesso, convochino liberi elezioni, togliendo le leggi di emergenza che impediscono la libera espressione. Qui c’è da ricostruire un intero sistema politico e istituzionale perché per due generazioni il regime aveva affossato i partiti e manovrato i poteri, esecutivo, giuridico e legislativo, a suo piacimento. Da 30 anni le leggi si fanno senza i giuristi, ritenuti un fastidioso orpello dagli apparati di sicurezza.
È chiaro che l’unica formazione politica organizzata, a parte il Partito democratico di Mubarak, sono i Fratelli Musulmani, che ieri, alla velocità del fulmine, si sono congratulati per l’intervento delle forze armate: sono fuorilegge dal 1954 e sperano che questa sia la volta buona per entrare nella legalità. Si muoveranno con cautela, sanno di essere gli osservati speciali dell’Occidente. Bisogna dargli credito almeno su un punto: quando dicono che questa non è stata la rivolta degli islamici ma di tutto un popolo.
Il pronunciamento dei militari si è reso necessario per riportare l’ordine, ma anche per evitare un pauroso vuoto di potere. È fallita l’idea di passare lo scettro all’ineffabile Omar Suleiman, l’ex capo dei sevizi segreti, che l’altro giorno aveva il compito di raccogliere le dimissioni di Mubarak e di sostituirlo. Non lo ha fatto e questo ha colto di sorpresa non solo gli americani ma anche gli stessi militari. È un uomo efficiente Suleiman ma con riflessi del poliziotto: «Questo paese non è pronto per la democrazia», aveva dichiarato ai network americani. Emarginare Suleiman e i suoi potrebbe però non essere così semplice: per tutta la vita ha spiato le vite degli altri accumulando dossier su un intero paese. I servizi del Mukabarat hanno reclutato mezzo milione di persone: un sistema di sorveglianza pervasivo che ricorda quello del Baath iracheno di Saddam Hussein.
Quello che accadrà qui sarà decisivo: la Tunisia ha dato l’esempio, l’Egitto sta scrivendo la storia e il mondo arabo forse seguirà. Anche quando sembra scomparire nelle tenebre della dittatura, la patria risorge nei momenti più inaspettati. E molti ne hanno una nel cuore.